Sappiamo che tutte le società storiche e arcaiche hanno avuto presso di sé questa speciale disciplina religiosa, la divinazione, la stessa parola divinazione deriva dal verbo latino divinari,indovinare e indica la capacità di interpretare la volontà divina: i Greci con le profetesse di Apollo, le Sibille, gli Ebrei col profetismo ebraico,col sogno profetico, gli sciamani siberiani e andini,con la capacità di interpretare segni meteorici o lo spirito del tempo, le grandi religioni primitive del bonno mongolo-tibetano, le grandi correnti esoteriche dell’induismo e del buddhismo, la visione totalmente altra e divinatoria dei sacerdoti sciamani Dogon.
E i napoletani col gioco cabalistico per eccellenza della Interpretazione dei sogni associati al numero nel gioco del Lotto, praticato quotidianamente, che di fatto inventano una Consultazione oracolare permanente, un gioco dei tarocchi collettivo, una Tombola permanente, una Teoria del Caso e del Caos come antidoto al male di vivere, una diagnostica psicologica e teatrale che fa di Napoli la città più scaramantica e cabalistica del mondo, dove cioè la Realtà del Reale è rovesciata nel suo contrario, la Surrealtà del Sogno come autogenesi della Morale. Non lontano dunque dalla cartomanzia Gitana e dalla pesca della Carta della Fortuna delle Zingarelle, da cui credo, azzardo, la cartomanzia dei Tarocchi, nella, zona di Marsiglia, luogo di ritrovo del gitanismo europeo, prende corpo.
‘Sia i gitani spagnoli sia quelli di Boemia, come pure le numerose carovane di pellegrini, negli ultimi secoli medievali, che, come giullari, danzatori, giocatori, perseguitati dalla giustizia, o esseri erranti, ponevano le tende nei portici e nei dintorni delle grandi cattedrali parigine, venivano chiamati egiziani, perché nel mostrare le loro carte ricordavano, come Yi King, formule di scongiuro per sottrarre al mistero una risposta che si doveva poi decifrare. Tarot era l’anagramma della parola rota, terminante con t, per indicare il cerchio di quel serpente, che si apriva, che si svolgeva, si divideva all’infinito per penetrare nell’invisibile.’, così scrive Josè Lezama Lima in Le ere immaginarie.
Dunque non dovrebbe far scandalo poterne parlare in termini non folkloristici né vagamente new age, che invece questo tipo di attività ludica e religiosa a suo modo innesta nelle persone che ne fanno uso e vi dedicano larga parte del proprio tempo. Il modo migliore per trattarne senza scandalo è ricollocarlo dentro il pensiero marginale ma libertino, alchemico e sapienziale, che in Italia e in Europa prese piede dentro le corti rinascimentali dopo la Controriforma religiosa, dentro la grande macchina di surcodifica dell’Inquisizione.
Ogni pensiero non ortodosso era pensiero del Diavolo, dunque da rinnegare come già, secondo lo storico d’Allemagne ed il lessicografo Du Cange] nel 1337, negli statuti dell’Abbazia marsigliese di San Vittore fondata dal monaco Giovanni Cassiano, si rinviene la più antica proibizione, il più antico riferimento riferito al gioco di carte (compresi i Tarocchi) attualmente conosciuto, cioè la menzione del divieto di svagarsi con le Paginae (in latino pagina: carta, pergamena): “Quod nulla persona audeat nec praesumat ludere ad taxillos nec ad paginas nec ad eyssychum” (Che nessuno osi o intraprenda il gioco dei dadi, delle carte o degli scacchi). il ludus in sé, il gioco, lo svago, la Depense, lo spasso era ritenuto opera del Diavolo, troppo vicina ad una morale dissoluta cui il popolo solo parzialmente evangelizzato, si dedicava come gioco stesso della vita.
Un riferimento esplicito alla dissoluzione dichiarata in cui più tardi le corti rinascimentali saranno abituate a fare del tempo liberato , il tempo della festa, del gioco e del carnevale. Lo stesso Lorenzo de Medici dedicherà alla filosofa del libertà carnevalesca poemi di grande vivacità nel suo Canzoniere e così nelle Stanze e nelle Giostre cavalleresche del Poliziano e dell’Ariosto , e ancor prima nei Trionfi del Petrarca che molti vedono come una prima rappresentazione ideologica dei tarocchi, gli Arcani maggiori. Cosimo de Medici e Marsilio Ficino costituiscono in Firenze un gabinetto ermetico, alchemico e sapienziale. Il Principe è egli stesso il promotore di una visione riformata e neopaga. Clima di festa e di gioco collettivo cui non si sottrarrà nemmeno la corte rinascimentale di papa Leone X. ”Verso la fine del Quattrocento i palazzi signorili e i loro cortili sono teatro,in occasione di nozze, conviti, ingressi principeschi, feste, di un insieme di spettacoli, dalla rappresentazione di favole mitologiche alle riprese dei commediografi latini, all’esibizioni di moresche, agoni, danze, mimi, intermezzi coreografici di ogni sorta….
Per la cavalcata trionfale di Leone X prendono parte,in una successione che rispetta i ranghi e i titoli onorifici, i nobili romani, i dignitari della Chiesa, il popolo: essa si snoda attraverso il labirinto delle strade coperte di festoni e di archi, monumenti immaginari coperti di fregi e di decorazioni, di pitture e sculture, in cui viene trasposta la totalità del mondo, con episodi della storia ecclesiastica, divinità mitologiche, raffigurazioni allegoriche, rappresentazione degli evangelisti con le loro insegne, delle sibille,delle insegne medicee con i leoni e le palle e scritte augurali, con tondi ritraenti il papa, l’imperatore, il re di Spagna, le antichità romane, le arti liberali e le diverse discipline e infine gli episodi salienti della vita del pontefice”. Così Alessandro Fontana in La scena Immaginaria: agoni, maschere, blasoni, in La storia d’Italia.
Dunque è in questo immaginario sociale che bisogna rovistare, connettere pezzo a pezzo tra filosofie, allegorie,mitologie provenienti dalla romanità, dalla cavalleria errante, dalle figure simboliche del potere politico: il Re, La regina, Il principe, la Principessa,la Corte, Il Papa, Il mercante,il pellegrino, il Cavaliere,La dama, la donna Angelo di contro ad una società di poveri, marginalizzati, la cui rappresentanza simbolica è affidata alla Vecchiezza, alla Morte, alla Malattia, alla Fame. Quell’immenso archivio della mente così caro a G.B.Vico che affida all’iconologia della sapienza antica tanta parte della sua archeologia dei saperi, in particolare nella Spiegazione della dipintura (Incisione di A.Vaccaro) proposta al frontespizio – vera introduzione all’Archeologia dei saperi antichi come cabalistica antica- e in tutto il Libro I della Scienza Nova, che è l’apologia della antica teologia da Mosè ad Omero ad Ermete Trimegisto. Una società che simmetricamente immagina sulla scena del mondo intesa come Teatro, il linguaggio simbolico da un lato come Sfarzo, Puro Divertimento, Rappresentazione erotica, Lusso e Potere di contro ad una realtà che non ha immaginario se non nel regno delirante della Maschera e del Carnevale, del Gioco , dell’eros erratico e vagabondo del mondo dei girovaghi e della scena drammatica di una religione popolare. Anche la Follia s’inscrive in questa dialettica simmetrica/asimmetrica del Servo e del Padrone.
La scena dunque della realtà è vissuta come scena simbolica di un unico teatro , di una unica scena immaginaria, la scena simbolica del potere e del non potere, e questa scena è in realtà un infinito labirinto in cui le immagini si speculano, si specchiano rincorrendosi all’infinito, una infinita metafora di una metonimia impossibile, di un realtà per certi aspetti negata. La negazione alla vita per i poveri, i marginalizzati, significa spesso la riduzione alla servitù o al banditismo nelle foreste.
Questo Labirinto Immaginario riflette un labirinto interiore, spesso oscuro e incomprensibile. E questo labirinto di immagini ricorrenti è rappresentato anche nel gioco delle carte e in particolare dei Tarocchi perché un gioco di figure simboliche che vanno interpretate per una serie casuale e non causale di coincidenze che possono metter in gioco la Fortuna o la Sfortuna, i recinti stessi del destino dell’Individuo. Questa filosofia erratica fa perno intorno ad un mondo interamente Immaginale, di specchi riflettenti come ben definisce Giacomo da Lentini questa esperienza nella canzonetta Meravigliosa-mente: “Avendo gran disio/dipinsi una pintura,/bella,voi somigliante,/e quando voi non vio(quando non vi vedo)/guardo ‘n quella figura,/par ch’eo v’aggia davante”
J.Borges parla nella biografia di Evaristo Carriego dei labirinti di cartone dipinto del Truco, un gioco di carte sudamenericano. La Sorte e il Destino sono i veri interpreti , i veri personaggi allegorici di questa epoca e di questo Agone, di questo spazio Illusorio del Ludus. La vita e la morte si scambiano i ruoli nell’Allegoria della Ruota della Fortuna, vero Arcano simbolico centrale della decodificazione dei Tarocchi come l’allegoria filosofica della Vita nel Rinascimento italiano, secondo la filosofia neoplatonica di M.Ficino e la filosofia della cabala iniziatica di Pico della Mirandola , è la Primavera di Botticelli, scena figurale della Sapienza Onirica ed Ermetica, vera avventura della Vita. Dunque dipinti, rappresentazioni nel teatro della scena cittadina, sacre e profane, testi teatrali, poetici e filosofici, castelli e giardini ridondano di Immagini Labirintiche. Così è pure per il gioco e per il gioco delle carte:” E avventure labirintiche sono i giochi che si diffondono straordinariamente tra il 1570 e il 1630, le carte napoletane come riproduzione dell’epopea cavalleresca, i tarocchi, come delimitazione di percorsi nel labirinto del destino, gli scacchi, sogno dell’avventura guerresca nel labirintico intreccio dei colpi e delle mosse, onde, come scriverà un teorico del Settecento, li dirò guerra, schermo, duello,tragedia e giuoco”. Scrive ancora acutamente Alessandro Fontana nello stesso luogo.
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