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“L’Avvoltoio”, il libro che ha profetizzato la pandemia. L’autore è il napoletano Giuseppe Petrarca

L’Avvoltoio di Giuseppe Petrarca, scritto nel 2017 e pubblicato l’anno successivo dalla casa editrice Homo Scrivens, ha riscosso una serie di consensi e di riconoscimenti (tra questi il Premio Garfagnana in Giallo e lo Spoleto Art Festival).

Il romanzo s’innesta nella tradizione del medical thriller, contaminato col genere catastrofico, in cui l’assassino misterioso cede il posto a un complotto su vasta scala, dove regnano virus geneticamente manipolati e medici criminali.

Le atmosfere realistiche tracciano un quadro oggettivo della società del nostro tempo, evidenziando, in particolar modo, i mali, le ingiustizie, le tristi e dolorose condizioni di vita delle classi più sventurate, che ne fanno il nuovo romanzo sociale. Tra i temi di stringente attualità, affrontati nel romanzo, troviamo un’improvvisa “pandemia” che deflagra in un centro di accoglienza fino a contagiare l’intero territorio nazionale. Rileggendo le pagine del romanzo riscopriamo impressionanti consonanze e similitudini con il dramma che stiamo affrontando in questi giorni:

“Per focalizzare l’attenzione sull’epidemia – proseguì l’altro virologo – è utile ribadire che l’infezione si trasmette per via aerea: di solito invade la parte superiore dell’apparato respiratorio, per proseguire attraverso il sangue”

“<Quando avete capito che le infezioni era atipica?> chiese il commissario <Il primo campanello di allarme è stata la virulenza è un killer spietato aggressivo. L’infiammazione dei polmoni si stende con estrema velocità…>”

“La preoccupazione galoppava frenetica, il dramma incombente dell’epidemia schiacciavo ogni speranza. La paura di una diffusione incontrollata stava alimentando una tensione sempre più palpabile. Erano ormai tutti in preda al panico. Una semplice stretta di mano, abituale gesto quotidiano, diventava un pericolo e alcuni evitavano perfino di uscire di casa. Nessun contatto, chiunque poteva essere in qualche modo veicolo della malattia. I soli uomini che continuavano a incontrarsi al piccolo bar erano quelli più anziani… avevano già avuto tanto dalla vita… per loro la morte non era un male da evitare a tutti i costi” 

Non si tratta di una preveggenza, ma della percezione dell’autore che qualcosa di esplosivo stava per accadere. La tensione era già molto alta per il timore di un “contagio” non solo fisico ma anche culturale e sociale che aveva già da tempo arroccato le persone nel proprio egoismo. Un guscio nel quale la “pandemia” ha finito per affossarci definitivamente. L’unica speranza sono quelle donne e quegli uomini che non abbandonano il campo di battaglia, non si dileguano di fronte all’emergenza. Sono l’esempio per tutti noi per ritrovare quel coraggio che ora ci manca.

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Redazione
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