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Il sogno di Carlo di Borbone: il Mezzogiorno, uno stato autonomo e moderno

Carlo di Borbone, re di Napoli e di Sicilia, figlio di Filippo V di Spagna e della sua seconda moglie Elisabetta Farnese, nacque a Madrid il 20 gennaio dell’anno 1716,  conquistò, con l’appoggio diplomatico della madre, il regno di Napoli e Sicilia nel 1734, dando inizio alla dinastia borbonica a Napoli.

Don Carlos si insedia a Napoli trovando un regno in ginocchio dopo due secoli di vicereame spagnolo e ventisette anni di dominazione austriaca, durante i quali i napoletani avevano dovuto sostenere la politica di paesi stranieri e distanti pagando tasse sempre più alte.

Quando in Europa si alludeva alle provincie italiane le definiva “Les Indes de la Cour de Vienne”. (La definizione è del Conte Solaio di Broglio, diplomatico piemontese).

Nel 1749  Carlo di Borbone, deciso a creare nel Mezzogiorno uno stato autonomo e moderno, inviò in Calabria un gruppo di esperti ufficiali sassoni e ungheresi per studiare la possibilità di estrarre ferro dalle miniere locali.

Dopo dieci anni fu aperta la Real Fabbrica d’Armi di Torre Annunziata, per la produzione dei fucili in dotazione all’esercito borbonico e nel marzo del 1771 aprì  anche la Fonderia di Mongiana, in grado di sfruttare il combustibile proveniente dalle immense risorse boschive della zona.

Oggi la fonderia è uno dei siti archeologici facenti parte dell’Ecomuseo delle ferriere e fonderie di Calabria e da agosto 2019 del MUFAR, Museo delle Reali Ferriere di Mongiana.

Purtroppo, il catastrofico terremoto del 1783, anche denominato terremoto di Reggio e Messina, causò la momentanea interruzione della nascente attività. Fu la più grande catastrofe che colpì l’Italia meridionale nel XVIII secolo, che rase al suolo le città di Reggio e Messina e provocando anche maremoti. Ebbe effetti duraturi sia a livello politico (l’istituzione della cassa sacra e il primo regolamento antisismico d’Europa), sia a livello economico e sociale.

Goethe durante il suo Viaggio in Italia, giunto a Messina nel 1787 così descrive:

«I 30.000 superstiti erano rimasti senzatetto; la maggior parte delle case essendo crollate, e le mura lesionate delle rimanenti non offrendo un rifugio sicuro, si costruì in gran fretta, su una vasta prateria a settentrione, una città di baracche.»

Nel 1814 Ferdinando I,  re delle Due Sicilie,  successore di Carlo,  si fece promotore di un bando di concorso per formare una nuova classe di tecnici esperti nel settore mineralogico attraverso visite in Europa per studiare i paesi esperti nella siderurgia. Il lungo viaggio di studi, durato otto anni, toccò diversi paesi quali Austria, Baviera, Sassonia, Francia e Inghilterra.

Sarà, però, il suo successore, Ferdinando II, nel 1830, a concretizzare il sogno dei Carlo. Sovrano orgoglioso della sua nascita partenopea e convinto delle grandi possibilità del Regno, riuscì a creare l’industria siderurgica, grazie ad una politica incentrata sul risanamento dell’apparato statale e l’incoraggiamento delle iniziative pubbliche e private.

Molti imprenditori stranieri iniziarono a trasferire le proprie attività nel meridione d’Italia attratti dalle potenzialità del mercato napoletano favorendo la diffusione di stabilimenti chimici, ferriere, fonderie, officine metallurgiche e meccaniche.

La costruzione di grandi strutture metalliche quali ferrovie e ponti, a la possibilità di attingere a prestiti e agevolazioni bancarie e le frequenti assegnazioni di commesse di lavori statali per l’esercito e la marina avviata dai Borbone diedero un forte  impulso a questo settore

Purtroppo, il governo unitario, abolendo rapidamente tutti i dazi, negò l’appoggio necessario allo sviluppo della ancor giovane industria siderurgica che non aveva ancora forza ed autonomia sufficiente e non poteva di certo reggere la lotta di mercato.

Il tracollo dell’intera struttura fu inevitabile ed è curioso notare come alla morte dell’industria meridionale si accompagnò rapidamente la nascita della grande industria del Nord.

Mentre nel Nord Europa e negli Stati Uniti il settore metalmeccanico era in grande espansione e utilizzava tutte le tecnologie più avanzate, l’Italia, esclusa la Toscana con le fonderie granducali di Follonica e del Pignone, registrava la presenza di una serie di piccole officine legate ancora ad una organizzazione di tipo artigianale. La Campania nella prima metà dell’Ottocento, in particolare Napoli, aveva  150 opifici tra ferriere, fonderie e officine metallurgiche  e quattro stabilimenti meccanici di straordinaria efficienza e modernità.

Una ricerca delle fonderie maggiormente attive nel Regno è difficile anche se, i nomi delle ditte principali appaiono ancora oggi impressi su alcuni dei lampioni conservati presso la “Fondazione Neri – Museo Italiano della Ghisa” (MIG), Longiano (FC).

La Fondazione Neri – Museo Italiano della Ghisa è un centro di ricerca sull’arredo urbano, sulle sue forme e le sue espressioni nell’arco di centocinquant’anni di storia.   

La Fondazione dispone di un ricco archivio costituito da testi specialistici, cataloghi d’epoca delle ditte produttrici, disegni, fotografie, cartoline storiche riguardanti i modelli prodotti in Italia e all’estero a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

La storia delle fonderie maggiormente attive anche nell’ambito della produzione di oggetti per l’arredo urbano è frammentaria e lacunosa perchè scarsa è la documentazione giunta fino a noi. Ma grazie alle ricerche pubblicate dal MIG proveremo a ricordarne qualcuna (cf. Arredo & Citta’, “Made in Shoutern Italy”, 1, 2007 http://www.arredoecitta.it/it/riviste/made-in-southern-italy/).

NAPOLI E DINTORNI

Premiato opificio meccanico ANTONIO &  FRANCESCO LUCIANO

Stabilimento meccanico di via Nuova Capodimonte, ritenuto a buon diritto, il più antico di Napoli. Forse fu fondato 1692, ma nell’Ottocento i fratelli Luciano allestirono un’officina per le costruzioni metalliche (in particolare ponti, capriate, serre, pensiline) e una fonderia che dava lavoro a 82 operai, tra cui 9 fanciulli. La fonderia era specializzata in candelabri e mensole per l’illuminazione pubblica e nella produzione di altri oggetti quali portoni, cancelli, scale e balaustre.

PIETRARSA: ARMI E LOCOMOTIVE
Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa

Un ufficiale inglese al servizio della Marina borbonica, il capitano di vascello William Robinson, si fece promotore a Torre Annunziata, a partire dal 1830, di un laboratorio d’arti meccaniche e pirotecniche.

Nel 1842 il capitano d’artiglieria Luigi Corsi, subentrato nella direzione della fabbrica dopo la morte del Robinson, poichè l’attività del laboratorio era cresciuta enormemente, ottenne da Ferdinando II il permesso di trasferire l’attività a Pietrarsa, una località posta tra i Comuni di Portici e di San San Giovanni a Teduccio.

Obiettivo dell’opificio era costruire macchine a vapore e addestrare macchinisti navali al fine di dotare lo stato di collegamenti moderni ed efficienti: “è volere di Sua Maestà che lo Stabilimento di Pietrarsa si occupi della costruzione delle locomotive stesse, degli accessori e dei wagons che percorrere devono la nuova strada ferrata Napoli-Capua” si legge in un passaggio contenuto in un decreto reale del 22 maggio 1842 (Fonte MIG).

Nel 1853 il Reale Opificio Meccanico di Pietrarsa, ormai completo, con 620 operai, 200 soldati artificieri e 40 galeotti per i lavori pesanti si apprestava a divenire il primo nucleo industriale della Penisola, precedendo di oltre 40 anni la fondazione di Breda e di ben 57 quella della Fiat.

Oltre alla grande produzione ferroviaria e militare, per la quale veniva impiegato il ferro calabrese di Mongiana, a Pietrarsa si realizzavano anche opere di notevole pregio artistico come statue e candelabri di cui due esemplari, di elegante fattura, illuminano tuttora lo scalone principale del Palazzo Reale di Napoli.

Scalone Palazzo Reale di Napoli. Candelabri.
OFFICINA GIOVANNI MAJURINO

La casa Majurino, fondata nel 1830, a Napoli in corso Garibaldi ai civici 109-110 era Specializzata in lavori ornamentali in ferro e ghisa (stufe, ringhiere, cancelli, panchine, mensole, lampioni).

Tra i principali clienti ebbe la Società Tramways di Napoli, la Compagnia Napoletana del Gas e l’Arsenale di Marina.

Napoli – Tram Mergellina.JPG

OFFICINA MECCANICA CARMINE DE LUCA & FIGLI

Fondata come officina meccanica da Carmine De Luca tra gli anni 1845-1855, sulla strada dell’Arenaccia, nei pressi del gasometro cittadino, ha un grande sviluppo nell’ultimo ventennio del secolo con i suoi cinque reparti (due fonderie e tre officine meccaniche) che lo porteranno ad essere il quarto polo industriale napoletano impiegando centinaia di operai nelle fusioni per le ferrovie e le tramvie, per motrici a vapore, pompe, macchine agricole e distillerie.

Nella produzione di materiali in bronzo spiccava una speciale lega di bronzo e alluminio, detta appunto “lega De Luca”, che gli permise di ricevere cospicue ordinazioni per affusti di cannoni e lancia-siluri da parte del governo e della prestigiosa Ditta Armstrong Mitchell di Newcastle per il suo grande stabilimento di Pozzuoli.

Curiosità. In questa importante officina partenopea è da segnalare la presenza di Enrico Caruso tra la folta schiera degli operai. Il famoso cantante napoletano vi lavorò come apprendista dall’età di undici anni, distinguendosi per le sua notevoli capacità di disegnatore di fontane.

FONDERIA DELAMORTE

In via Nuova di Capodimonte, 45, sorgeva dal 1847 la fonderia dei fratelli Delamorte con 60 operai che eseguivano moltissimi lavori per costruzioni navali e civili oltre ad oggetti artistici di grande pregio come balconi, ringhiere, arredi per giardino e candelabri finemente decorati, utilizzando rottami di ferro provenienti in prevalenza dall’Inghilterra.

LA FONDERIA ARENA & ESPOSITO

La ditta situata in via Arenaccia al Trivio, fondata nel 1875, produceva candelabri, ringhiere, scansaruote, roste, ma anche aratri e attrezzature agricole varie.

La fonderia ha avuto molti riconoscimenti e premi (medaglie d’oro, d’argento e al merito ) alle Esposizioni italiane (in particolare di Roma, Torino, Napoli, Firenze) ed estere (Londra, Parigi, Bordeaux, Anversa, Marsiglia) .

Nel 2004 è stato rimesso in vendita il catalogo online. Questa è una delle librerie: https://www.maremagnum.com/libri-antichi/premiata-fonderia-in-ferro-arena-esposito-napoli-esposizione/158599128.

La copertina del catalogo messa online

OPIFICIO MECCANICO PALMIERI GIUSEPPE

L’Opificio Palmieri con sede in via Arenaccia dal 1875 eseguiva ogni tipo di lavoro metallico. Aveva una vasta e importante clientela tra cui il Municipio di Napoli, le Amministrazioni ferroviarie e il Reale Arsenale di Marina e dava lavoro a 100 operai specializzati. Fra i tanti impianti installati dalla sezione “lavori idraulici” si segnalavano quelli effettuati per conto del Municipio riguardanti l’acqua di Serino e quelli di numerosi stabilimenti di bagni termo-minerali ed idroterapeutici come Bagnoli, Agnano, Pozzuoli e Napoli. (Fonte MIG).

Lanificio Borbonico

Anche se non parliamo di siderurgia, un’altra importante industria napoletana borbonica è il Lanificio in piazza De Nicola a Napoli, di fianco la chiesa di Santa Caterina a Formiello. L’unico residuo di grossa industria ancora visibile nel cuore cittadino.

Raffaele Sava e i figli Salvatore e Francesco imprenditori di Amalfi impiantarono la fabbrica nel cuore di Napoli facendo concorrenza alle industrie francesi.

Al momento dell’unità d’Italia, il Lanificio occupava 600 operai, aveva due macchine a vapore per la produzione e fatturava qualcosa come un milione e 600.000 lire.

I Sava abitavano nell’area della fabbrica e gli appartamenti, in disfacimento, ancora visibili, sono di proprietà della Regione Campania.

La fine dell’azienda, come tante attività industriali fiorite nell’ex regno borbonico attraverso una politica economica protezionista, arrivò con l’unità d’Italia.

Del lanificio resta l’insegna d’epoca all’ingresso ancora visibile, un esempio di archeologia industriale.

Accesso all’ex Lanificio Militare.
Complesso monastico di Santa Caterina a Formiello di Napoli
Bibliografia
  • Arredo&Città, Museo Italiano della Ghisa, Anno 20 numero 1, 2007.
  • DORIA G., Viaggiatori stranieri a Napoli, Guida, Napoli, 1984, p. 34.
  • G.E. Rubino, Archeologia industriale e Mezzogiorno, Roma, Mario Giuditta Editore, 1978.

In copertina: L’inaugurazione della Napoli-Portici (1840), di Salvatore Fergola, pittore napoletano considerato uno degli esponenti più autorevoli della Scuola di Posillipo.

Le immagini utilizzate sono tutte sotto la licenza Creative Commons.

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Anna Abbate
Archeologa, consulente informatica e web design freelance. Nata a Napoli, si occupa dal 1971 di Information Tecnology dopo essersi formata alla IBM come Analista Programmatore. Dopo una vita vissuta nel futuro ha conseguito la Laurea Magistrale in Archeologia presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa”. Divide il suo tempo tra la passione per l’informatica e la ricerca storica. Con alcuni amici archeologi ed antropologi ha fondato nel 2011 il “Gruppo Archeologico Kyme”, associazione di promozione sociale, della quale attualmente è presidente, organizzando giornate di valorizzazione e promozione del patrimonio storico-archeologico e delle tradizioni dedicate soprattutto alle scuole. Si occupa, in particolare di Napoli e del territorio flegreo. Ha pubblicato i libri "Da Apicio... a Scapece (Valtrend Editore, 2017), "Biancomangiare... il Medioevo in tavola" (Valtrend Editore, 2018).

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