Il Belpaese vive l’arrivo del festival di Sanremo col fiato sospeso, ognuno affronta la sfida televisiva come può, alcuni condividono la visione dello spettacolo insieme con amici e parenti, altri seguono con spasmodica ossessione il doppio binario composto dai canali social per poi approdare a quello tradizionale, c’e chi invece continua indisturbato a vivere il quotidiano tranquillo e in netta disconnessione da tutto e da tutti.
Per i veri appassionati Sanremo rappresenta uno spartiacque tra le luminarie natalizie e le colombe pasquali, un momento di sospensione che propende verso la settimana più dissacrante e pagana dell’anno: il Carnevale. In effetti, la kermesse canora negli ultimi anni somiglia molto di più a una sfilata di carri in costume, ogni personaggio che calca il palco dell’Ariston indossa una maschera, circondato da lustrini, o meglio espone nudità, per comunicare (in forma artistica) un’idea, un’opinione, o interpretare un grido.
Il confine dal buono e il cattivo gusto non hanno un indice ben definito, così ognuno interpreta il mondo reale travestendosi da fatina o da drago, così da confondere il pubblico e allontanarlo dal vero scopo che sostiene la competizione canora.
Partiamo dai due presentatori imbrillantinati e reduci da un restyling poco convenzionale, simulano di essere al passo con i tempi, fingono di mescolarsi tra le fila delle nuove generazioni per avere un consenso globale, incespicando in modi ed esecuzioni. I revival si confondono tra le fila dei sorbetti sonori dei nuovi performer, circondati da un’aura di stile e innovazione che lambisce i limiti imposti dall’appartenenza di genere. Tutto è fluido, nudo, evanescente, la corporeità degli abiti svanisce per far posto a gesti e parole colme di significato.
Da Colomba vola si passa a Splash, da Azzurro a Mare di guai, da Non ho l’età a Mostro, così le cinque serate ci conducono in un girone quasi dantesco, dove i demoni degli amori perduti uniti ai fantasmi del passato svolgono il ruolo di sempre, incantare le platee con ritmi orecchiabili e di facile reinterpretazione. A tutto questo fa eccezione una regina della canzone italiana, tale Anna Oxa, la quale si adagia sul suo futon gorgheggiando parole incomprensibili che sanno di dimensione ascetica mista e sano distacco dal mondo reale. divina nel non mostrasi celando così tra le pieghe di ampi vestiti, rigorosamente neri, ogni forma del corpo, per donare al pubblico solo Lei: la voce.
Altre interpreti invece hanno caldeggiato ogni minima curva in nome della beneamata femminilità, scoprendo tutto, montando su tacchi vertiginosi sfidando abiti succinti e sguardi indiscreti. Non bisogna dimenticare che il corpo femminile è stato rappresentato nei gioielli, tatuaggi, bluse e abiti trasparenti, per non parlare dei cuori disegnati in ogni dove, e baci appassionati.
Alcuni uomini in cambio, in rispetto delle signore presenti, hanno preferito travestirsi da bottiglie di pomodoro, sfilato con gonne di pelle, tinto le labbra di un rosa shocking e baciato loro simili per dimostrare che l’amore non ha sesso, non ha età, non ha colore.
Ha vinto alla fine come da prassi una canzone: Due vite, perché è proprio nella dualità che l’amore incontra la sua ragione di esistere, per chiedersi poi “il triangolo non lo avevo considerato”, è lì il segreto nella grande forza inclusiva dell’amore. Un motore, un’energia propulsiva che ancora regna nei nostri cuori e che fonda le radici nella musica, la più antica imitazione messa a punto dall’uomo e diretta a integrarsi in quella meraviglia infinita: la Natura.