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“Amal”, le storie negate di due popoli

‘Amal”, il romanzo storico pubblicato quest’anno da Albatros Il Filo, è l’opera prima di Davide Inda, arabista e meridionalista. Questo libro mi ha letteralmente stregato.  Durante le ore in cui non leggevo, la mia testa era costantemente proiettata ai personaggi del romanzo, ai loro conflitti interiori ed alle sofferenze patite ingiustamente dalla protagonista. Dovevo assolutamente sapere come sarebbe andata a finire e quando ho terminato la lettura devo ammettere che è cambiato non solo il mio modo di vedere la storia, ma anche il mio giudizio su come essa viene tramandata. Non immedesimarsi nelle emozioni di Amal è impossibile, per questo dico che se l’autore intendeva provocare una reazione emotiva nel lettore, ci è riuscito perfettamente.

Ma è un’emozione che fa male all’anima, crea irrequietezza, voglia di giustizia, rabbia. Il romanzo parla della storia d’amore tra un fotografo napoletano, Giuanin ed un’insegnante palestinese, Amal, molto più avanti con gli anni, entrambi emigrati in Piemonte. Con la struttura narrativa a catena di un racconto nel racconto, propria de “Lu cunto de li cunti” e de “Le mille e una notte”, l’autore ripercorre la storia tormentata dei popoli dei due ragazzi, quello duesiciliano e quello palestinese, raccontata in chiave revisionista.

La protagonista è stata vittima di violenza sessuale, pertanto rappresenta perfettamente l’allegoria dei due popoli. Come spesso accade, il rapporto tra vittima e carnefice si inverte: la vittima si sente addosso il disonore e la responsabilità della colpa, mentre il suo stupratore vive tranquillamente camminando a testa alta. Ciò che rende molto originale il romanzo sono lo stile e le tecniche narrative utilizzate. Infatti Davide Inda per descrivere la società frammentata dei popoli in questione fa ricorso ad una narrativa frammentata. In Amal si assiste così alla dissoluzione della cornice spazio-temporale, la narrazione infatti non segue sempre l’ordine cronologico degli eventi e ciò si manifesta con il frequente ricorso a flash-back e flash-forward.

La frammentazione dà un senso di ambiguità che si traduce sul foglio nella giustapposizione di stili letterari diversi e in passaggi, anche bruschi e repentini, dal passato al presente, dalla prima persona narrante alla terza. Quest’ultimo aspetto penso sia davvero geniale perché fa sì che il romanzo non sia visto dal di fuori, bensì da una corsia laterale o interna. Ho trovato inoltre molto affascinante il registro linguistico utilizzato: la lettura è sì scorrevole, ma allo stesso tempo si passa con disinvoltura da un tipo di lingua comune e a volte gergale ad un italiano più forbito e a tratti aulico e all’interno della narrazione in prosa si fa spesso ricorso ad allitterazioni, assonanze, metafore e similitudini ed in alcuni casi vengono inseriti veri e propri versi poetici.

Credo che non sia affatto facile accostare le storie negate di due popoli così distanti: il popolo del Mezzogiorno d’Italia e quello palestinese, eppure l’autore ci è riuscito perfettamente perché ha individuato l’anello di congiunzione che accomuna le due tragedie: l’orgoglio ed il riscatto. Amal ha secondo me il grandissimo merito di dare voce ai vinti della storia ed a coloro che nella vita quotidiana sono marginalizzati dal centro dell’attenzione politica e non esercitano alcun potere. Per questo motivo il romanzo è indirizzato soprattutto a tutti coloro che desiderano ascoltare una versione differente della storia del Risorgimento e della questione israelo-palestinese, in pratica una storia molto distante da quella propinata dalla storiografia ufficiale e dai mass media occidentali. Inoltre trovo che il libro sia di assoluta attualità, affrontando temi come la violenza sulle donne, l’importanza della memoria, la questione meridionale e quella palestinese.

Ritengo infine che quest’opera sia un classico esempio di letteratura impegnata, capace cioè di promuovere attraverso la riflessione un cambiamento culturale. Ascoltando la radio o guardando un TG chiudo gli occhi e mi tornano alla mente Amal e Giuanin, con i loro dissidi interiori, i loro dolori e le loro rivincite.

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Deborah Di Bernardo
Nasce a Napoli nel 1970 ma cresce a Milano per i suoi primi 17 anni. Ritornata alla città natia, conclude il suo percorso di studi laureandosi in Conservazione dei Beni Culturali ad indirizzo storico artistico e, contemporaneamente, approfondisce un percorso relativo alla comunicazione attraverso l'arte, l'immagine tramite corsi di comunicazione, grafologia, estetica, sociologia. L'arte come segno dell'Io che l'ha creata, al di là del modo e della forma in cui viene rappresentata diventa il contenitore di un percorso psicologico, umano, sociale. Ha collaborato con alcune testate giornalistiche (InfOrmare magazine, Il Ponte - testata danese) nell'ambito di rubriche culturali, redatto la presentazione di opere figurative e commenti ad immagini di testi, presentato libri ed eventi. È membro del Direttivo e responsabile della sezione eventi de "La Casa del Sorriso" (casa di accoglienza per i familiari dei pazienti oncologici), curatore di mostre, artisti e critico d'arte.

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