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Breve storia della canzone Napoletana

Uno dei pilastri del corpus artistico e culturale di Napoli, è senza dubbio la musica. Essa nasce dopo un lungo percorso, in cui si sono intrecciati forme, poesie e melodie, un percorso che inizia dalla notte dei tempi, da quando l’uomo Greco mise piede in una terra buona e creò Neapolis.

La lingua Napoletana nasce e si sviluppa nell’alto medioevo, a inaugurare il distacco dalla lingua greca e il congiungimento a un’altra forma verbale.

Canzoni, arie, poesie accompagnate da uno strumento, tutto si è sempre fatto a Napoli come in qualunque altra città, ma allora quando nasce di preciso la canzone Napoletana? Alcuni riconducono la sua nascita a quella della villanella, una composizione musicale in stile satirico, emersa a Napoli del XVI secolo.

Questa ebbe un grande successo popolare, da lì a poco nacquero dei veri e propri compositori di villanelle, e il successo di questa nuova forma musicale tutta Napoletana, coinvolse autori e compositori di altre città, così che questo nuovo genere si diffuse in tutto il meridione e oltre.

Tuttavia sempre in quest’epoca, la musica offriva ampi scenari su cui potersi destreggiare, e oltre alla villanella potevamo ascoltare le serenate, da: serena, ossia un componimento in versi di stile trobadorico, che l’innamorato o comunque un musico, suonava e cantava magari accompagnato da un liuto o un’arpa. Oltre alla serenata e alla villanella, si potevano udire versi musicati di storie realmente vissute, canzoni che raccontavano con melodie sensibili, degli eventi drammatici, è il caso della celebre canzone Michelemmà, erroneamente attribuita a Salvator Rosa.

La canzone narra una storia drammatica, quella delle invasioni Turche del XVI secolo, e di questa Michela, che l’autore del testo dichiarava sua: Michela è mà, cioè Michela è mia, riferito ai Turchi che giunti sull’isola di Ischia, uccisero gli uomini che vi trovarono e ne violentarono le donne.

Il XVII secolo, fu invece ricco di preziose novità. Nacque il mandolino Napoletano, la tarantella e la tammurriata diventavano danze sempre più amate dal popolo, così da generare dei veri e propri professionisti del ballo, ossia gruppi di danzatrici e di musici pronti a intervenire alle feste o cerimonie dietro compenso in denaro o in natura.

In quest’epoca la canzone Napoletana iniziava ad affinarsi, gli strumenti musicali pure, e così il triccheballacche, il putipù, la tammorra e il mandolino Napoletano, divennero i simboli della musica stessa.

Da qui si svilupparono le molteplici correnti di diffusione della musica Napoletana, a poco a poco in ogni luogo della città si poteva ascoltare musica: da un duo o un trio che allietava i clienti di una trattoria, o i passanti di una strada maestra, o che cantava una serenata sotto a un balcone, musici sempre fermi allo stesso posto, da qui nasce il termine “posteggiatori”.

E se questo non bastava, ecco venire da lontano un suono metallico, che riempiva piano piano i vicoli della città. Il suono si faceva sempre più forte fino a quando non si materializzava colui che lo stava producendo: il pianino. Inventato nel 700, il pianino a Napoli divenne ciò che oggi per noi è la radio. Ci si può immaginare Napoli coperta di musica: ovunque si calpestava terra, c’era odore di musica, ovunque una canzone, ovunque poesia.

Dobbiamo però aspettare la metà dell’ottocento, per entrare nell’epoca d’oro della canzone Napoletana.

Te voglio bene assaje, è il primo testo d’autore che dà il via alla canzone classica Napoletana. Esso vinse l’edizione del 1839 della festa di Piedigrotta. Divenne un tale successo che per tutte le strade della città, non si faceva altro che cantare il ritornello di questa canzone:

‘Nzomma songh’io lo fauzo?
Appila, sié’ maesta:
Ca ll’arta toja è chesta
Lo dico ‘mmeretá.
Io jastemmá vorría
Lo juorno che t’amaje!

Io te voglio bene assaje…
E tu nun pienze a me!

Furono venduti oltre 180.000 “copielle” ossia fogli con su scritto il testo di una canzone. Da lì in poi, poeti e musicisti facevano a gara per produrre brani sempre più belli, sempre più elevati.

Fra gli autori più conosciuti dell’ottocento, epoca in cui la canzone Napoletana esplose in tutto il mondo, ricordiamo Eduardo di Capua, che ha musicato molti dei grandi successi Napoletani, come ‘O sole mio. Giovanni Capurro, autore letterale della stessa canzone. Salvatore Gambardella, un’artista che componeva musiche fischiando; accompagnava i testi che gli presentavano, con il suono del suo fischio, che un musicista poi traduceva in note, e con questo metodo ha composto canzoni del calibro di: ‘O marenariello e Comme facette mammeta.

Salvatore di Giacomo ovviamente, che da poeta lasciò dei meravigliosi testi tradotti in musica, come: ‘E spingule Francese, Palomma ‘e notte e Marechiaro.

Alla fine vinsero gli ambulanti suonatori di gioia, vinsero i suonatori di villanelle, vinsero i musici che suonavano e cantavano le serenate, vinsero i danzatori della tarantella e della sensuale tammorra, e il loro grido superò gli ambienti borghesi dove la musica si era relegata, per esplodere in tutta la sua forza nelle orecchie del popolo che ama e sa amare.

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Ivan Tudisco
Ivan Tudisco è nato a Napoli nel 1980 dove attualmente vive. Nel 2007 ha esordito con una raccolta di poesie edita da una casa editrice Siciliana, seguiranno altre due raccolte, di cui l’ultima pubblicata nel 2021 con una editrice Romana: Rosabianca edizioni. Nel 2020 ha esordito con il suo primo romanzo: Gente di Pianura, in ebook. Una serie di racconti di genere vario, sono stati pubblicati su varie antologie nazionali tra il 2019 e il 2021, e una raccolta di favole, ha visto la sua pubblicazione nel 2021, ed è tuttora disponibile sul sito della casa editrice Ivvi. In Giugno 2022, sarà pubblicato un nuovo romanzo, con l’editrice Montag, collabora con QuiCampiFlegrei dal 2020. Tutti i libri di Ivan Tudisco sono disponibili nelle librerie online, quali: Mondadori storie, La Feltrinelli, Libro Co.

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