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L’ex carcere borbonico di Procida: palazzo d’Avalos

“Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra,/ fu tutto.” Scrive Elsa Morante.

Procida, l’isola in cui è ambientata la trama del romanzo L’isola di Arturo di Elsa Morante, non è solo un dato geografico, è un luogo dell’anima, è la stagione della fanciullezza che necessariamente deve passare, è un mondo che nel cuore non ci abbandonerà mai e che con nostalgia vorremmo riconquistare. È un posto, un tempo, un’età da cui ognuno vuol fuggire, finché l’attraversa,  spinto da un’irrefrenabile ansia di crescere, per poi scoprire che fuori del limbo non v’è eliso, scrive Elsa nei versi posti in epigrafe al romanzo.

L’arcipelago campano è formato da un gruppo di cinque isole: Capri, Ischia, Procida e Nisida.

L’sola di Capri, per la sua posizione, viene giustamente collegata alla penisola Sorrentina mentre le altre 4 isole vanno a formare l’arcipelago flegreo.

La nascita di Procida

Secondo un mito di origine greca due briganti Cercopi di Efeso, avevano beffato Zeus e questi li punì trasformandoli in scimmie e relegandoli nelle isole di Aenaria (Ischia) e Prochyta (Procida).

Un altro mito greco racconta che Zeus nella battaglia contro i Titani sconfisse due di essi: Tifeo e Mimante.

Per punizione i due  Titani furono sepolti sotto due blocchi di roccia: precisamente, Tifeo sotto Ischia e Mimante sotto Procida.

Questa versione del mito potrebbe essere la spiegazione degli antichi greci del fenomeno del vulcanismo (a loro sconosciuto) dell’intera area. La terra assumeva continui mutamenti per il costante intervento di qualche divinità.

I fenomeni vulcanici dei Campi Flegrei e l’attività vulcanica di Ischia detta “ardente di fiamme” erano ritenuti dagli antichi responsabili della nascita di Procida. (Timeo, Diodoro Siculo, Strabone, Plinio).

A questi fenomeni della tradizione arcaica è legato il mitico scontro tra Zeus e i giganti nel golfo partenopeo.

Aristodemo, tiranno di Cuma, sfrutta questa tradizione nella guerra contro gli etruschi della Campania (524 a.C.). I Giganti erano empi profanatori dell’ordine olimpico instaurato da Zeus e li paragona ai Tirreni che volevano eliminare la potenza Cumana (Miele 1987).

Procida: breve storia

L’isola di origine vulcanica conserva ancora oggi tracce degli antichi crateri nelle insenature del Pozzo Vecchio, della Chiaiolella e del Carbonchio dove sono visibili il tufo giallo e grigio risultato di diverse manifestazioni eruttive che si sono svolte nel Mesolitico (55.000 – 17.000 anni fa).

Già abitata da popolazioni autoctone, tra il XVII e XVI secolo a.C. fu colonizzata dai Micenei per la lavorazione dei metalli (la loro presenza è testimoniata dai numerosi reperti ritrovati sull’isolotto di Vivara), in seguito fu abitato dai Cumani e poi dai romani. 

Nel VI secolo d.C. entra a far parte del territorio di Napoli ed è occupata dai Visigoti di Alarico e i Vandali di Genserico che la utilizzarono per colpire anche la costa.

Dopo varie dominazioni da parte di normanni e aragonesi, nel 1529 giungono a Procida i d’Avalos che edificano la cinta muraria e il castello che sarà nel tempo palazzo reale e poi prigione.

Intanto continuavano le scorrerie dei pirati, accentuate dalla lotta tra gli Ottomani e l’impero spagnolo.

Molto cruenta fu l’incursione del 1534, ad opera del pirata Khayr al-Din, detto il Barbarossa, che si concluse con devastazioni e con molti Procidani deportati come schiavi.

Le torri di avvistamento sul mare, oggi simboli dell’isola, furono edificate proprio per difendere l’isola da attacchi.

Le alterne vicende di Procida vedono anche la flotta francese che nel XVII secolo occupò l’isola sullo sfondo delle vicende legate alla rivolta di Masaniello e alla seguente nascita della Repubblica.

Nel 1734 l’avvento dei Borbone nel Regno di Napoli, portò un miglioramento delle condizioni socio-economiche dell’isola, per opera di Carlo III, che inserì Procida tra i beni della corona, facendone una sua riserva di caccia.

Procida, però, divenne proprietà della corona borbonica solo nel 1744 a seguito dei numerosi processi per debiti intentati contro Giambattista d’Avalos.

In questo periodo furono acquisiti numerosi territori nel napoletano per la caccia, soprattutto nell’area flegrea, tra i quali le riserve degli Astroni, di Agnano e di Licola. Nei vari siti i reali si spostavano durante l’anno seguendo le stagioni della selvaggina.

Palazzo D’Avalos: carcere di mare

Il Castello d’Avalos sorge sul promontorio più alto dell’isola dove sorge “Terra Murata” il centro abitativo più antico dell’isola ed anche unico rifugio per gli isolani durante secoli di dominazioni ed incursioni.

Terra Murata, fu realizzato, insieme alle mura, nel ‘500, per volere della famiglia d’Avalos, e è merito loro se oggi è visitabile perchè in precedenza il borgo era accessibile solo dalla spiaggia dell’asino, dopo punta Lingua.

Terra Murata e la Corricella da Punta Pizzaco (Licenza Creative commons)

Questo collegamento consentì lo sviluppo urbano dell’isola, con la nascita del Borgo della Corricella, il Convento di Santa Margherita Nuova e l’abbazia di San Michele.

Giunti in cima alla salita, superate e le due maestose porte d’ingresso, la vista di Terra Murata con la sua atmosfera medievale, vicoli strettissimi e le tipiche casette popolari, premia lo sforzo.

L’ex carcere di Procida, il Castello d’Avalos, è l’edificio dominante di questo antico borgo.

Nel 1815 i Borbone trasformarono il castello prima in scuola militare e poi in carcere del regno, con successivi ampliamenti, messi in atto dal 1840, per poi trasformarlo in carcere di stato della neonata penisola italiana.

Oggi il Palazzo d’Avalos è visitabile solo dall’esterno.

Il carcere di Procida oltre ad ospitare ergastolani, comprendeva anche un opificio per la lavorazione della canapa da parte dei detenuti.

Personaggi illustri sono stati detenuti nel castello, come Cesare Rosaroll e Luigi Settembrini e, dopo la caduta della Repubblica di Salò, vi furono rinchiusi Graziani, Teruzzi, Cassinelli e Junio Valerio Borghese, comandante della X Mas ( tutti i principali capi del regime fascista), nonchè Frank Mannino e gli altri esponenti della Banda Giuliano.

Dopo la chiusura definitiva avvenuta nel 1988 il carcere fu, per anni, abbandonato completamente.

Nel 2013, finalmente l’edificio e gli spazi adiacenti furono acquistati dal comune di Procida, che cominciò i lavori di riqualificazione e messa in sicurezza, per permettere visite guidate a turisti e residenti.

Il percorso di visita comprende  Palazzo D’Avalos più il cortile, la Caserma delle guardie, l’edificio delle Celle singole, il Padiglione delle Guardie, l’edificio dei veterani, la Medicheria, la Casa del Direttore e la tenuta agricola, detta La Spianata, di circa 18.000 mq.

Nelle stanze dell’ex carcere è rimasto tutto come è stato lasciato dai detenuti: scarpe e vestiti impolverati, appartenuti ai detenuti, matasse di canapa e vecchie macchine per cucire arrugginite. Il tempo sembra essersi fermato.

Attualmente il palazzo è visitabile previo prenotazione attraverso il sito web del Comune di Procida.

Procida oggi

Procida offre panorami di grande bellezza, con il tipico scenario mediterraneo, tra rocce e piante dai profumi straordinari.

Oltre al mare grazie alle sue ricchezze agricole, produce una gastronomia di alto livello.

La particolarità e la bellezza dei suoi luoghi hanno qualcosa di speciale, tanto che è stata scelta come location per l’indimenticabile film “Il Postino” di Massimo Troisi.

Ma anche altri registi hanno scelto Procida per le loro produzioni:

  • Lo straordinario Sordi «Detenuto in attesa di giudizio» di Nanni Loy.
  • «Il talento di Mr. Ripley» di Anthony Minghella
  • Francesce e Nunziata di Lina Wertmüller.
  • Fuoco su di me (2006)  di Lamberto Lambertini.
  • Mariti in affitto (2004) di Ilaria Borrelli.
  • L’albero delle pere (1998) di Francesca Archibugi.
  • La Supertestimone (1971) di Franco Giraldi.
  • Vaghe stelle dell’Orsa (1966)  di Luchino Visconti.
  • Cleopatra (1963) di Joseph L. Mankiewiczr.

Bibliografia:

G.C. ALISIO, Siti reali dei Borboni. Aspetti dell’architettura napoletana del Settecento, Roma 1976, pp. 29-34.

Cfr. S. DI LIELLO, I Campi Flegrei. Realtà e metafora, Napoli 2006.

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Anna Abbate
Archeologa, consulente informatica e web design freelance. Nata a Napoli, si occupa dal 1971 di Information Tecnology dopo essersi formata alla IBM come Analista Programmatore. Dopo una vita vissuta nel futuro ha conseguito la Laurea Magistrale in Archeologia presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa”. Divide il suo tempo tra la passione per l’informatica e la ricerca storica. Con alcuni amici archeologi ed antropologi ha fondato nel 2011 il “Gruppo Archeologico Kyme”, associazione di promozione sociale, della quale attualmente è presidente, organizzando giornate di valorizzazione e promozione del patrimonio storico-archeologico e delle tradizioni dedicate soprattutto alle scuole. Si occupa, in particolare di Napoli e del territorio flegreo. Ha pubblicato i libri "Da Apicio... a Scapece (Valtrend Editore, 2017), "Biancomangiare... il Medioevo in tavola" (Valtrend Editore, 2018).

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