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Intervista al colonnello Carlo Calcagni

Sono un soldato, sono un atleta, sono un combattente, sono  un uomo, sono un padre, sono disabile e mai mi  arrendo!

Sono  Colonnello del Ruolo d’Onore dell’Esercito Italiano, paracadutista della folgore  e  pilota istruttore di elicotteri.

Per 12 anni ho prestato servizio  presso il 20° Gruppo Squadroni “Andromeda” di Pontecagnano.  Dopo la strage del Giudice Falcone, ho prestato servizio in Sicilia  in missioni di ordine pubblico, scorta e trasporto Magistrati, ricognizioni e pattugliamento e purtroppo ho assistito dall’alto  all’attentato in cui il Giudice P. Borsellino ha perso la vita insieme alla sua scorta.

Sono  stato  impiegato anche in altre importanti missioni nazionali ed  internazionali, in Turchia, Albania.

Nel  1996, a soli  28 anni , sono stato   inviato   in missione  internazionale di pace a Sarajevo  come unico pilota del Primo Contingente Italiano  addetto al servizio MEDEVAC,  con il  compito  di prestare soccorso, recuperare  feriti e  salme  tra le macerie di una terra dilaniata dalle bombe  e tra  fiumi  di sangue, ricevendo  Elogi ed Encomi  per aver dato  lustro all’Esercito Italiano.

Non sapevo però che  in Bosnia io e i miei colleghi avremmo incontrato  un nemico invisibile e per questo molto più pericoloso: le polveri contaminate dalla guerra, dall’uranio  impoverito e altri metalli pesanti che inconsapevolmente ho respirato .

Ed è lì che la  mia vita  è cambiata   radicalmente. Al rientro dalla missione in Bosnia inizio a star  male…me lo dice subito la mia  bici poi i medici. Quelle polveri  hanno  intaccato  tutti i  miei  organi  in modo irreversibile, condannando la mia esistenza ad una quotidiana agonia.

Ma io scelgo  di non arrendermi ad  una morte lenta che  devasta  il  mio corpo, la mia  psiche, la mia  vita e quella dei miei cari. Inizia a quel punto   la missione più importante e impegnativa  per un soldato e per un  uomo:  la lotta contro la malattia e la morte!

In attesa di trapianto allogenico di midollo, ogni giorno mi  sottopongo a  quattro/ cinque ore di flebo, sette iniezioni appena mi sveglio, assumo 300 compresse nell’arco della giornata, ho bisogno di tenere l’ossigeno e di notte , il  respiratore polmonare. Periodicamente mi sottopongo  a plasmaferesi di circa 6 ore, e ogni tre mesi  mi reco in Inghilterra per  ulteriori cure presso  un centro specialistico dove il mio è “il caso clinico” oggetto di studi scientifici e convegni internazionali e la mia vita è stata definita un miracolo!.

Sono  un atleta. Lo sport è sempre stato per me un volano che consente di mettersi alla prova e superare i propri i limiti!

Ho vinto più di 300 gare di ciclismo, una fra tutte,  la Rieti-Terminillo, una gara internazionale di 210 km,  definita allora e ricordata ancora oggi  come “Impresa di altri tempi “ del leccese Carlo Calcagni che dopo appena 20 km dalla partenza,  saluta tutti e se ne va  in  fuga solitaria per oltre180 km, staccando il gruppo di ben  19 minuti.

Nemmeno la malattia è riuscita a fermami…ha solo trasformato la bici in un triciclo per gli effetti  che il danno neurologico ha  avuto sul piano motorio e sull’equilibrio.

La  passione per lo sport è tutta lì, integra anzi  si è arricchita della consapevolezza, anche dei medici, che l’attività fisica è per me  la più importante delle terapie. Grazie ad un quotidiano allenamento, il triciclo volante mantiene attivi i miei muscoli e ne allevia il dolore fisico, oltre a dar sollievo al mio  spirito perché  correre mi distrae dalla malattia e mi fa sentire normale, nonostante l’invalidità  del 100%.

Nel giugno 2015,  ho conquistato 2 medaglie d’oro vincendo  le due prove di Coppa del Mondo, ho vinto  anche il Campionato Italiano su strada e a cronometro e con questi risultati ho guadagnato  un posto nella Nazionale Italiana di Ciclismo Paralimpico.

Ma di lì a poco è iniziato  un altro pesante calvario, fatto di ostile burocrazia e ingiuste esclusioni. Prima alcuni farmaci  fondamentali per le mie cure non  sono stati  autorizzati dall’anti-doping;  poi  la  commissione medica UCI , incurante della   corposa documentazione sanitaria e della disabilità, mi ha escluso dalla categoria triciclo T2 costringendomi  al ritiro dall’attività agonistica.

Sono un combattente e non mi sono arreso  nemmeno dopo questo duro colpo.  Nel maggio 2016 ho partecipato agli Invictus Games di Orlando, in Florida conquistando ben tre medaglie d’oro come atleta del GSPD (Gruppo sportivo paralimpico della Difesa).

Sono un uomo del sud, figlio di emigranti , educato sin da piccolo al massimo impegno, nella vita e nello sport.

Sono padre  di Francesca ed Andrea. I miei figli sono la mia prima ragione di vita!.

Dopo aver incontrato per caso il regista Michelangelo Gratton,  è maturata l’idea di  raccontare  la mia esperienza di vita in un film documentario.

Ho scelto di rendere pubblica la mia di vita per  essere di esempio alle nuove generazioni e a tutti coloro che si arrendono di fronte alle difficoltà, anche minime. Con la mia storia voglio  diffondere  un messaggio importante: La vita è un dono prezioso  in tutte le forme in cui  il destino ce la presenta. Quando sembra che tutto sia perduto…mai arrendersi, mai  perdere la speranza di poter migliorare in qualche modo la nostra esistenza. Affrontando ogni difficoltà con coraggio e dignità, intendo dimostrare che la voglia di vivere ci consente di superare ogni fragilità e ogni sofferenza.  Voglio dimostrare con il mio esempio  che la  solidarietà, l’onore, la fedeltà, l’ impegno costante, la  condivisione,  sono tutti valori che possono  rinvigorire questo paese e le nuove generazioni, anche attraverso lo sport.

L’universalità di questo messaggio è stato riconosciuto e apprezzato al Migrarti film festival, una importante rassegna internazionale di cinema   sull’integrazione multietnica. Il festival si  è tenuto   a Caltabellotta, in Sicilia  lo scorso giugno.  “Io sono il Colonnello”  si è classificato primo su 4500 film in concorso. Sono stato anche premiato come miglior attore, ma sono solo l’interprete della mia  stessa vita.

Il 25 agosto scorso il docufilm è stato presentato anche in Svizzera,  nell’ambito della storica Belvedere di Mendrisio, un evento che ha saputo ben coniugare sport, cultura,  condivisione.

Inoltre molte scuole hanno già prenotato la visione del docufilm  che sarà  proiettato anche a Roma  l’11 settembre presso la Camera dei Deputati  dopo la conferenza stampa a conclusione del tour per la  vita.

Il tour, si propone di accendere i riflettori sulla disabilità, una condizione che porta con sé  il rischio concreto del  lasciarsi andare , dell’ esclusione sociale, della chiusura alla vita, dell’isolamento .

In sella al mio triciclo, da Lecce fino a Roma  attraverso  le varie tappe, voglio dar  prova del ruolo importante che ha lo sport nel migliorare la qualità della vita anche quando questa diviene più fragile e perciò  bisognosa di maggiori attenzioni.

L’energia, la perseveranza, la passione per sport,  l’amor di patria,  il ricordo dei  colleghi che non ci sono più  e di quelli meno fortunati, mi guidano  in ogni tappa, desideroso di poter toccare il cuore delle persone che vorranno avvicinarsi anche solo per un saluto.

Spero con questo tour di  riuscire a donare  agli altri la bellezza della determinazione, testimoniando con la mia vita il grande potere della volontà umana e la possibilità di trasformare il dolore in qualcosa di positivo per sè stessi, per gli altri, per le generazioni future.

Anche quando non è possibile sottrarsi alla sofferenza si può e si deve cercare dentro di noi  la passione per la vita  da cui attingere la forza di credere in tutto quello che facciamo,  di lottare per realizzare i nostri desideri, di  combattere contro tutte le  ingiustizie, di sperare  in un domani migliore, per noi e per i nostri figli!

Ho voluto fare tappa a Napoli perché questa  terra mi ha ospitato per ben 12 anni. A Napoli tutto è azzurro e tutto è passione e qui  il linguaggio mimico, l’esempio ha un valore come in nessun altro posto. Ho fatto tappa qui per consegnare  personalmente  a tutti i napoletani, il mio mai arrendersi!

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Angelo Zanfardino
Docente di Scuola Secondaria Superiore, giornalista, ha collaborato con il quotidiano "Il Tempo". Si è occupato, in particolare, di inchieste e cronaca nera, ambiente e tratta di essere umani. Ha seguito da vicino la vicenda dell'uccisione di don Giuseppe Diana, vittima innocente della criminalità.

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