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Eugenio cu’ ‘e lente: l’artista vagabondo che incantava Napoli

Quante volte ci ritroviamo a ripensare a tutto ciò che è accaduto nella nostra vita. In quei momenti, volti, avvenimenti e aneddoti che avevamo forse temporaneamente dimenticato tornano alla mente, pronti a riemergere non appena vengono richiamati.

Personalmente uno dei ricordi più cari che mi capita di ripercorrere è il periodo della scuola, lungo gli anni ’70 e i primi anni ’80, quando, accompagnato da mia madre, dovevo raggiungere l’istituto Paolo Colosimo che ho frequentato per ben undici anni situato nei pressi di Santa Teresa al Museo.

Io abito e anche all’ora abitavo al Castello di Monteleone, una frazione che abbraccia vari comuni: Quarto, Marano e Villaricca 2, oggi detta Nuova.

Per raggiungere l’istituto dovevamo utilizzare il leggendario Quarto-Napoli, un autobus dell’allora TPN che partiva, manco a dirlo, da Quarto, per poi giungere a Napoli, allo stazionamento che si trovava in Via Vincenzo Bellini, proprio di fronte all’ingresso principale dell’Accademia delle Belle Arti.

Il pullman attraversava comuni come Qualiano, Marano, Chiaiano e poi Capodimonte, passando per il ponte della Sanità e quindi Santa Teresa dove io scendevo.

Nel tragitto verso l’istituto, il lunedì mattina, il pullman si riempiva gradualmente di studenti, e mi ritrovavo immerso nella compagnia di tanti miei coetanei. Ma il momento che aspettavo con più gioia era il ritorno a casa, il sabato sera. Trascorrevo l’intera settimana a Napoli e, nel tragitto di ritorno, avevo l’opportunità di incontrare un personaggio davvero indimenticabile, non solo per me, ma credo anche per molte altre persone.

Quest’uomo saliva a bordo dell’autobus allo stazionamento di via Bellini e, da lì in poi, intratteneva tutti noi passeggeri con le sue canzoni e filastrocche, quasi sempre improvvisate.

Questo artista eccezionale si chiamava Eugenio cu ‘e lente.

Lui saliva a bordo dell’autobus con la sua inseparabile fisarmonica, una bombetta in testa e un piccolo megafono, e non appena il mezzo iniziava a muoversi, cominciava il suo show con maestria, producendo melodie e strofe che trasportavano i passeggeri in un mondo di allegria e calore. Eugenio spesso cantava a soggetto, prendendo di mira qualche personaggio che gli capitava a tiro e che era nel pullman.

E’ inutile dire che i viaggiatori lo adoravano. Le sue canzoni erano un balsamo per l’anima, un antidoto alle tensioni quotidiane. Mentre il pullman serpeggiava lungo la strada che ci avrebbe portati a casa, Eugenio cantava con il cuore e la sua voce risonava gioiosa. La sua presenza trasformava il viaggio da un semplice spostamento da un punto all’altro in un’esperienza unica.

Ma chi era questo leggendario personaggio?

Eugenio cu ‘e lente, noto anche come Eugenio Pragliola, era una personalità di grande rilevanza a Napoli ed un famoso artista di strada. Il soprannome “cu ‘e lente” si riferiva agli occhiali senza lenti che indossava come parte del suo distintivo look, rendendolo facilmente identificabile per il pubblico.

Eugenio nacque a Rio de Janeiro, in Brasile, nel 1907, da genitori originari di Giugliano che si erano trasferiti lì in cerca di fortuna. Suo padre era un onesto falegname, mentre sua madre era una semplice casalinga.

Nel 1915, la famiglia Pragliola tornò a Giugliano quando il padre di Eugenio, Gennaro, fu richiamato alle armi in seguito allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

A Giugliano, Eugenio e i suoi numerosi fratelli erano conosciuti anche come “Cucciarielli” a causa di un soprannome giovanile che era stato attribuito loro dai ragazzi del paese. Questo nomignolo derivava dal fratello maggiore di Eugenio, che lavorava come fotografo. Nel suo negozio, esponeva foto con primi piani dei volti delle persone, e i giovani del posto, quando si fermavano a guardare la vetrina, esclamavano “che belle coccie“, che significava “che bei volti” “Coccia” è un termine dialettale che fa riferimento alla testa e da qui, attraverso cambiamenti fonetici e semantici, nacque il soprannome “Cucciarielli.”

Ma che tipo di arte era quella di Eugenio cu’ ‘e lente?

Per comprendere il personaggio prendiamo in prestito alcuni articoli di giornali dell’epoca:

Scriveva il redattore de Il Mattino Pietro Treccagnoli in un articolo sull’edizione del giornale del 1983, dedicato a Eugenio Pragliola: “…è il poeta dell’oralità e dell’improvvisazione della macchietta, della parola che “ci azzecca”, e della botta e risposta“. Altro articolo su Il Mattino di Clodomirio Tarsia, così recitava: “(Eugenio) può essere considerato l’erede dei cantori-girovaghi della plebe di cui ci hanno tramandato notizie frammentarie e nebulose il Del Tufo, il Basile, lo Sgruttendio e altri poeti del ‘500”.

Gli storici Rossi e D’Errico così lo definirono: “…l’ultimo epigono degli improvvisatori vagabondi di quella Campania che conobbe i fliaci e gli autokabdali greci, gli improvvisatori dei fescennini e le maschere dell’Atellana, e poi i comici dell’arte; di quella campana Napoli che ha visto generazione di umile gente improvvisante dinanzi a una sporta di pesce, sopra una fetta di melone, dietro un piatto di cozze”.

Eugenio può essere considerato un esempio straordinario di talento autodidatta e di satira sociale impregnata di intelligenza.

Non si riteneva un suonatore ambulante, ma un artista che “asceva p’ ‘a campata”. Nonostante non avesse mai studiato il solfeggio musicale, era un virtuoso della fisarmonica. A chi gli chiedeva come facesse a saperla suonare, rispondeva con un sorriso: “io non la suono, la straviso”.

Ma Eugenio cu’ ‘e lente, non era solo un musicista, era anche un maestro dell’arte della satira e della critica sociale. Nonostante fosse analfabeta, possedeva un’intelligenza e un acume fuori dal comune. Riusciva a memorizzare nomi di personaggi famosi, città, nazioni, utilizzandoli abilmente nelle sue filastrocche e stornelli, creando così sagaci satira politica e sociale. Attraverso le sue canzoni, raccontava in modo sarcastico e satirico le curiosità, i costumi, i vizi, le virtù e le abitudini della società del suo tempo.

Come i giullari del passato, Eugenio cu’ ‘e lente, amava ridicolizzare la lingua colta e inseriva frasi in dialetto popolare nelle sue improvvisazioni. Questo atteggiamento era una forma di critica alla cultura ufficiale e accademica, oltre a essere una difesa appassionata del dialetto come mezzo espressivo. Con la sua arte dimostrava quanto fosse sbagliato relegare il dialetto a una forma secondaria di comunicazione.

Le esibizioni di Pragliola erano una combinazione di umorismo, satira sociale e, a volte, linguaggio scurrile. Tuttavia, riusciva sempre a trasmettere profonde lezioni di vita attraverso la sua pungente ironia. Le sue canzoni non erano solo divertenti; erano anche saggi mascherati da performance comiche.

Nonostante la sua mancanza di istruzione formale Eugenio Pragliola conobbe e frequentò l’amicizia di molti grandi artisti dell’epoca, tra cui E. A. Mario, Raffaele Viviani, i fratelli De Filippo e altri ancora. Fu addirittura elogiato da Totò, che lo definì uno dei comici più grandi del suo tempo per la sua abilità nel far ridere il pubblico.

Oltre a essere un macchiettista, un giullare e un posteggiatore, Pragliola fu anche un poeta e compositore di canzoni. Purtroppo, non registrò mai le sue composizioni e spesso gli interpreti che le diffusero non gli attribuirono il merito. Tra le sue opere più celebri ci sono i versi di “Trapanarella” e la parte finale della famosa “Tammurriata nera” che divennero i cavalli di battaglia della Nuova Compagnia di Canto Popolare.

Eugenio Pragliola morì nella sua modesta abitazione di Giugliano nel giugno del 1989, povero ma amato e rispettato dalla sua famiglia e dai suoi amici.

La sua eredità artistica e il suo spirito ribelle e creativo vivono ancora attraverso le sue canzoni che continuano a essere apprezzate e interpretate da musicisti di oggi.

Eugenio cu’ ‘e lente è un esempio straordinario di come il talento e la creatività possano emergere da contesti umili e, nonostante le sfide, lasciare un’impronta duratura sulla cultura e sull’arte.

La biografia e le opere di Eugenio Pragliola sono state tratte dal bel libro di Domenico Maisto: “Eugenio Cuccianiello, vita e versi di un vagabondo”, Giugliano ed. 1989.

Foto dalla pagina Facebook “Associazione Culturale Eugenio Cucciariello” 

Gianni Urso

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