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In ricordo di Salvatore Greco la guida della Grotta della Dragonara

La recentissima scomparsa di Salvatore Greco, la guida della Grotta della Dragonara a Bacoli, segna un ulteriore vuoto nella storia culturale dei Campi Flegrei. Al pari del compianto Carlo Santillo che era la memoria storica della pseudo grotta della Sibilla sul lago d’Averno e che per oltre quarant’anni svolse la funzione di Caronte succedendo al padre e al nonno che iniziò verso la fine dell’ottocento, don Salvatore era la memoria storica della Grotta della Dragonara. Un ruolo il suo, al pari di quella di don Carlo, che ha consentito nel corso degli anni a tantissimi turisti e visitatori di conoscere e apprezzare uno dei luoghi più suggestivi dei Campi Flegrei. Per onorarne la memoria ripropongo l’intervista che mi concesse a gennaio del 2020 per il mio blog e che successivamente proponemmo su questo giornale a settembre di quello stesso anno.

Che la terra gli sia lieve!

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Dopo aver letto l’intervista che feci molti anni fa a Carlo Santillo l’allora custode della pseudo grotta della Sibilla sul lago d’averno, la scrittrice Annamaria Varriale mi chiese se conoscessi la Grotta della Dragonara a Bacoli e fossi interessato a intervistare Salvatore Greco il custode. Questa è l’intervista effettuata a Salvatore mentre ci accompagnava nella grotta

A sinistra l’autore, la scrittrice Annamaria Varriale e Salvatore Greco

Salvatore da quanti anni si preoccupa della grotta?

Da circa una ventina d’anni. Ma la frequento da quando ero ragazzino: durante la seconda Guerra Mondiale, fu utilizzata come rifugio. Vi entravano circa duecento persone. Per quasi un mese vi entrammo e uscimmo per ripararci dai bombardamenti. Per renderla vivibile i nostri genitori dovettero coprire le vasche d’acqua sorgiva con palate di terra.  

A che epoca risale?

Tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo. La grotta originariamente era una cisterna d’acqua al servizio della flotta romana di stanza a Miseno. Diversamente dalla Piscina Mirabile in cui l’acqua veniva riversata per far fronte alle esigenze militari, questa è una sorgente naturale dove veniva raccolta anche l’acqua piovana.

Come ha iniziato questa attività?

Per lavoro e per passione mi trovai a partecipare agli scavi per liberarla dal terreno che la ricopriva. La prima volta fu negli anni settanta, quindi nel 2006 con l’arrivo dei soldi della comunità europea. In questo secondo caso lavorammo di buona lena, impiegando oltre due anni e mezzo per liberarla dal terreno che vi era stato accatastato o gettato dalle aperture ancora visibili sulla volta. Ogni giorno uscivano dalla grotta trentacinque camion carichi di terreno. Ora potete ammirare le vasche colme d’acqua, ma all’epoca era tutto ricoperto da terra e sabbia. E poi, scavando, abbiamo trovato tanti reperti appartenenti alla Villa di Lucullo costruita sul terreno sovrastante. Chi li aveva scaricati, non aveva capito di cosa si trattasse e del valore che avessero quei resti.

Una delle vasche della Grotta della Dragonara

Come l’è venuta l’idea di inventarsi custode della grotta?

Mio padre faceva il muratore e io fin da ragazzino ho lavorato al suo fianco. In questo modo ho avuto la possibilità di venire a contatto con tante antichità di epoca romana al cui fascino non sapevo resistere. Laddove, scavando, venivano fuori resti antichi, mi precipitavo ad ammirarli. Addirittura una volta mi capitò di trovare delle lucerne, una romana e una greca. Quando poi gli archeologi iniziarono a venire in questi luoghi per scavare e recuperare i tesori sepolti, non solo partecipavo agli scavi, ma prestavo attenzione a quanto dicevano, memorizzandolo per poi ripeterlo a mia volta ad amici e parenti. L’ingresso originale della grotta era situato più in alto rispetto a dove noi ora ci troviamo. Vi si accedeva scendendo da una rampa di scale di cui oggi restano poche tracce sulla parete. All’epoca della guerra da lì entravamo. Se guardate in alto in direzione di quell’apertura potete vedere alcuni degli scalini originari.

Sulla parete a sinistra la scala che conduce all’accesso originale della grotta

L’acqua che riempie le vasche è potabile?

Sì, è acqua potabile di cui ci siamo serviti per bere e cucinare fino agli anni ottanta. Poi iniziammo a notare che dall’acqua si levava un cattivo odore e capimmo che c’era qualcosa che non andava. Per prudenza non la bevemmo più. In seguito abbiamo saputo che alcuni dei signori che in passato avevano costruito al di sopra della grotta vi avevano incanalato abusivamente le fogne. All’epoca della guerra, dopo aver interrato le vasche, i nostri genitori costruirono una pozza artificiale in cui convogliarono l’acqua per poterla utilizzare quando ci rifugiavamo, gettandovi dentro delle anguille perché ne garantissero la purezza dato che quest’animale ha la capacità di filtrare l’acqua. Anch’io ne gettai diverse quando scavammo per liberare la grotta dal terreno. Oggi nelle vasche ve ne è una piccola colonia.

La vasca per convogliare l’acqua costruita all’epoca della seconda Guerra Mondiale

Perché la grotta è chiamata della dragonara?

Per il rumore che faceva l’acqua precipitando all’interno dalla villa di Luccullo e quello che si levava mentre scorreva nel sottosuolo al quale i greci davano l’appellativo di Drakon, dragone. Altrettanto i romani, nell’udirlo, si chiedevano se all’interno non vi fosse un drago. Così decisero di chiamarla traconaria, da cui l’attuale dragonara.

A che epoca risale quella scritta? (dirigo lo sguardo su una delle pareti delle vasche dove appare una scritta in rosso).

Risale al 1600, quando la grotta fu riaperta per la prima volta: indica il nome di chi vi entrò per primo, un francese, Lenkerbarger. Almeno così rispose l’archeologo al quale chiesi spiegazioni. Ma poiché quel nome ha un suono tipicamente tedesco, sapendo quanto odiassi i tedeschi, ho sempre pensato che mi avesse mentito. Il colore è ricavato da sostanze vegetali che ne hanno garantito la nitidezza e la durata nel tempo. Dietro a un altro pilastro vi è invece la firma di Aniello Falcone, il famoso pittore napoletano.

La grotta è collegata con la Piscina Mirabile?

No! La grotta è una cisterna naturale mentre la piscina è un serbatoio in cui l’acqua veniva inglobata artificialmente. Sembrerà strano, ma come dimensioni la grotta è due volte più grande della piscina, solo che a prima vista non sembra perché i suoi pilastri sono enormi rispetto a quelli della piscina che furono scavati dando vita a delle vere e proprie navate di una chiesa. Inoltre la piscina sembra più grande perché si innalza di più in confronto alla grotta. Tuttavia, pur essendo più grande della piscina, la grotta raccoglie giusto la metà dell’acqua: seimila metri cubi d’acqua rispetto agli oltre dodicimila/300 metri cubi della piscina. 

Salvatore sono circa vent’anni che si occupa della grotta, si è mai posto il problema un domani chi potrebbe sostituirla?

Purtroppo al momento non sono riuscito a individuare nessuno. Ho due figlie, una fa la restauratrice e l’altra l’insegnante. Non credo saranno loro a occuparsene.

Quali sono le sue speranze per la grotta?

Mi piacerebbe che quando contatto la sovrintendenza, l’unica vera responsabile della grotta, per segnalare problemi o criticità, si attivasse tempestivamente per installare almeno qualche punto luce in più visto che, essendo in penombra, la grotta perde molto del proprio fascino e bellezza ed è facile preda di malintenzionati: all’interno vi era una meravigliosa conformazione di stalattiti che qualche delinquente ha staccato per portarsela via come souvenir… Qui in visita vengono tanti turisti, per lo più stranieri, che restano incantati dalla grotta. Perché chi deve garantirne la tutela sembra infischiarsene?

Già, perché? …

Una delle tante conformazioni di stalattiti che arricchiscono la grotta della Dragonara

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Vincenzo Giarritiello
Nato a Napoli, ma da oltre vent’anni residente a Pozzuoli, Vincenzo Giarritiello alterna all’attività di scrittore quella di giornalista per passione. Nel 1997 ha pubblicato “L’ultima notte e altri racconti” e nel 1999 “La scelta”. Nel 2017 ha ristampato “La scelta” e nel 2018 ha pubblicato il romanzo breve “Signature rerum” ambientato nei Campi Flegrei. Nel 2019 ha stampato “Le mie ragazze rom scrivono” e “Raggiolo uno scorsio di paradiso in terra”. Nel 2020 ha editato la raccolta di racconti “L’uomo che realizzava i sogni”. Ha pubblicato con le Edizioni Helicon il romanzo “Il ragazzo che danzò con il mare”. Ha collaborato con le riviste online “Giornalewolf.it” e “Comunicare Senza Frontiere”; con quelle cartacee “Memo”, “Il Bollettino Flegreo”, “Napoli Più”, “La Torre”. Fino al 2008 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi a Pozzuoli e all’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida. Attualmente collabora con l’associazione culturale Lux in Fabula con cui ha ideato la manifestazione “Quattro chiacchiere con l’autore”. Nel 2005 ha attivato il blog “La Voce di Kayfa” e nel 2017 “La Voce di Kayfa 2.0”. Dal 2019 è attivo il suo sito www.vincenzogiarritiello.it
http://www.vincenzogiarritiello.it

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