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A chi tributare il tributo? | Napoli vista da lontano

Foto di freestocks.org

Quando da ragazzo (appena qualche giorno fa…) cominciavo a muovere i miei primi passi nel mondo della musica suonata, l’aspirazione principale di noi musicisti in erba era di formare (o di entrare a far parte) di una cover band, cioè un complesso che suonava le canzoni di successo altrui. Si pescava a piene mani nel repertorio rock anni ’70 e ’80 (se in una serata ti facevi il giro dei locali di Napoli potevi ascoltare le stesse canzoni degli U2 in dieci versioni diverse) e si cercava un ingaggio in qualche pub o paninoteca della zona in cui si facesse musica dal vivo. Raramente chi suonava cercava di creare qualcosa di proprio perché questo significava automaticamente essere tagliato fuori dal giro serale dei locali che già erano pochissimi ed i cui avventori certo non avevano voglia di mettersi a sentire qualcosa di nuovo prediligendo la canzone già nota (questione di pigrizia dell’apparato uditivo penso). Dicevo che i locali erano pochi ed i gruppi molti per cui c’era una vera e propria guerra per riuscire ad andare a suonare. In molti casi c’erano gruppi che pur di suonare lo facevano addirittura gratis ed una volta “conquistato” un locale non lo mollavano più facendo in modo che diventasse il “loro” locale.

La situazione appena descritta peggiorò definitivamente con l’avvento del karaoke. I gestori dei locali capirono subito che come sistema di intrattenimento serale era molto più proficuo di una band. Si liberava spazio (via batteria, amplificatori e tastiere) e spazio (risicato) per un paio di casse, uno stereo ed un monitor. E poco importava se la maggior parte degli aspiranti cantanti erano stonati come le campane. Anzi nella maggior parte dei casi il cantante stonato costituiva un vantaggio perché aumentava il divertimento dei presenti. Col tempo anche la moda del karaoke, dopo una voga stupefacente, si è pian piano appannata fino a scomparire quasi del tutto. E oggi? Oggi assistiamo ad un fenomeno che se possibile è ancora peggiore di quelli appena raccontati. Oggi è il turno delle Tribute band! Ovverosia le band tributo. Cosa sono? Si prende un gruppo di ragazzi che vogliono suonare assieme, si sceglie un cantante o un gruppo di riferimento e si suonano solo le canzoni di quel cantante o di quel gruppo (a Napoli, dopo la morte di Pino Daniele, di band tributo dedicate a lui se ne potranno contare qualche migliaio…). E fin qui non ci sarebbe nulla di male. Non vi è molta differenza tra la cover band di cui ho parlato poco fa e la tribute. Ma col tempo, come spesso accade, la cosa è degenerata fino a sfiorare, in molti casi, il ridicolo. I gruppi hanno cominciato ad imitare i propri riferimenti musicali anche nel modo di vestire, negli atteggiamenti nei suoni (in molti casi per far sì che l’imitazione sia perfetta alcune band tributo suonano praticamente quasi in playback: con una base che porta buona parte della struttura del pezzo ed i musicisti che si limitano a pochi interventi con gli strumenti). Gli spettacoli messi in piedi da questi gruppi sono diventate delle perfette imitazioni di quelli reali (so per certo perché mi è stato raccontato, che molti “musicisti” vengono scelti in base alla somiglianza fisica piuttosto che per le capacità musicali). I musicisti (o a questo punto li si dovrebbe definire “attori”?) imitano in tutto e per tutto i componenti delle band cui dedicano il “tributo”: movimenti, gesti, perfino le smorfie del volto!

Lo spettacolo che si presenta agli occhi però è assolutamente desolante: non si può fare a meno di chiedersi perché il pubblico paghi per vedere queste imitazioni e non vada a vedere gli originali? Forse per il prezzo dei biglietti? Potrebbe darsi anche se il ticket per assistere agli spettacoli di questi imitatori non costa poco. Ancora una volta ecco che hanno vinto gli interessi economici rispetto a quelli creativi. Oggi per fortuna per chi vuole cercare di curare il proprio lato musicale piuttosto che fare l’imitatore di un altro c’è internet. Il problema della rete è che non solo c’è tanto materiale: c’è troppo materiale! Col risultato che molti validi potenziali artisti si perdono dietro il mare magnum della mediocrità presente sulle varie piattaforme. Ed anche in questo caso si assiste ad un paradosso estremo: per cercare di farti notare in internet devi fare visualizzazioni. Tante visualizzazioni. Col risultato che molti ricorrono all’acquisto dei “like” mediante appositi siti (per lo più asiatici) che offrono questo servizio. Oppure (e qui siamo al paradosso dei paradossi che richiama in un certo modo il karaoke) offrire uno spettacolo talmente pietoso che però riesce ad attirare l’attenzione in quanto le persone guardano e riguardano per deridere. E’ sintomatico, a riguardo, il caso di qualche anno fa di tre ragazze che provarono a cantare una canzone e lo fecero così male, ma così male, che totalizzarono più di un milione di visualizzazioni su youtube di gente che le guardava solo per prenderle in giro. E divennero un piccolo fenomeno del web (sic!).

Artù

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