Tu sei qui
Home > Campania > ALCHIMIA, SOLO UNA CHIMERA?

ALCHIMIA, SOLO UNA CHIMERA?

Quando parliamo di alchimia ci sovviene alla mente l’immagine di un uomo immerso in un ambiente cupo, circondato da scaffali colmi di libri, fiale e contenitori vari, avvolto da una densa nuvola di fumo acre, seduto davanti a un fornello su cui è poggiata una storta di vetro in cui bolle una misteriosa sostanza frutto di lunghissimi esperimenti finalizzati alla trasformazione del piombo in oro.

Sull’eventualità se fosse possibile ottenere l’oro in laboratorio, se ne discute da millenni. Negli ultimi anni è stato dimostrato che ciò sarebbe possibile mediante reazioni nucleari, ma il procedimento sarebbe talmente costoso, lungo e complesso che, rispetto alla bassissima quantità di oro che si ricaverebbe, non ne varrebbe la pena.

Secondo altre versioni, invece, l’alchimia consentirebbe a chi riuscisse nella realizzazione dell’opera a garantirsi l’immortalità, al pari di chi, in possesso del Sacro Graal, bevesse ciò che il calice contiene.

Ritornando alla possibilità di creare l’oro in maniera artificiale, quest’aspetto dell’alchimia rappresenterebbe solo una fase di un cammino molto più articolato e profondo attinente alla realizzazione spirituale dell’essere. Ovvero la “trasformazione” dell’uomo comune in quella di santo. Seppure in questo caso l’utilizzo del vocabolo santo è inappropriato.

Le antiche civiltà del passato – da quella vedica a quella egizi passando per i sumeri, fino a quella medievale e, in epoca molto più tarda, quella seicentesca/settecentesca fino agli inizi del ventesimo secolo – si occupavano della possibilità di poter fabbricare l’oro.

Nei loro testi, scritti con un linguaggio simbolico non privo di avvertimenti al lettore a non lasciarsi ingannare dalle apparenze ma a penetrare il senso delle parole, come afferma il moderno alchimista francese Fulcanelli sia ne IL MISTERO DELLE CATTEDRALI che ne LE DIMORE FILOSOFALI, gli alchimisti non vi avrebbero racchiuso le indicazioni per la fabbricazione dell’oro metallico, bensì quelle di un procedimento psicofisico in grado di modificare sia interiormente che fisicamente l’operatore.    

Riferendoci alle civiltà del passato, quando si parla di alchimia, si è portati subito a pensare all’antico Egitto. Tale associazione è dovuta alla parola alchimia  la quale sarebbe la traslitterazione della parola egiziana El-Kemè, sale della terra nera, identificando con terra nera l’antico Egitto. Essa, però, non sarebbe solo un’indicazione geografica, ma soprattutto simbolica in quanto la nigredo, l’opera al nero, è la prima delle tra fasi caratterizzanti il processo alchemico, le altre due sono albedo e rubedo.

Altre fonti attribuiscono l’origine della parola alchimia all’arabo Kimiya, uno dei nomi con cui si indicava il reagente per la trasformazione dei metalli. Senza escludere che sempre in arabo la parola significherebbe pietra nera il cui rapporto con quella conservata nella mosche della Mecca, oggetto di venerazione da parte degli islamici, è indiscutibile.

Nella tradizione occidentale riscontriamo un forte legame tra l’alchimia e la filosofia: la pietra, o la sostanza che consentirebbe agli alchimisti di trasmutare il piombo in oro, è chiamata pietra filosofale.

Se davvero le parole sono pietre, è fuori discussione che l’associazione tra pietra e filosofia indicherebbe quale aspetto l’individuo debba curare per crescere come uomo.

In tutte le loro opere gli alchimisti avvertono i lettori che quanto hanno scritto rappresenta il contrario di quel che volevano dire, non essendo l’alchimia alla portata di tutti. Per poi spiazzarli affermando che la Grande Opera, la realizzazione alchemica, è un gioco da bambini. Così dicendo gli alchimisti volevano forse affermare la semplicità dell’opera, o invece che, affinché la trasmutazione avvenisse, occorreva che l’operatore avesse l’animo immacolato come quello di un bambino, riportandoci alla mente la frase di Gesù, lasciate che i bambini vengano a me?

La falsa interpretazione dei loro scritti da parte di chi era ossessionato dall’idea di creare l’oro in laboratorio ha dato origine alla moderna chimica. Un aspetto, questo, certamente non secondario per lo sviluppo della società umana, ma limitare l’alchimia alla sfera materiale la svilisce.

Tenendo presente quanto lo studio possa influire positivamente sulla crescita non soltanto professionale, ma prima di tutto personale di un individuo, il fatto che lo strumento in grado di trasmutare il piombo in oro fosse definito dagli alchimisti Pietra Filosofale dovrebbe farci riflettere sul fatto che l’opera alchemica riguarderebbe gli aspetti psicologici dell’essere.

Non è un caso se Carl Gustav Jung, uno dei padri della psicologia, abbia dedicato una parte consistente della propria vita professionale allo studio dell’alchimia e dei sui simboli dando origine alla Psicologia Alchemica. È fuori discussione, come afferma non solo la medicina alternativa ma anche quella ortodossa, che la serenità mentale influisce positivamente sull’equilibrio interiore di un individuo garantendone il benessere fisico: così come esistono le malattie psicosomatiche, altrettanto devono per forza esistere le guarigioni psicosomatiche. Diversamente non si capisce perché il pensiero debba influire solo negativamente sulla vita degli individui!

Imparare a pensare in maniera positiva, cosa non affatto semplice in una società come la nostra dove siamo quotidianamente oggetto di bombardamenti mediatici che non ci lasciano il tempo di riflettere, può già considerarsi una grande conquista, a prescindere dalla possibilità o meno di realizzare l’oro in laboratorio. Del resto tutti i Padri Spirituali nei loro insegnamenti invitano a trascurare i beni materiali e a cercare in noi stessi il vero tesoro in grado di garantirci la pace e la serenità.  

A riguardo l’alchimia sarebbe davvero la scienza capace di trasmutare il metallo grezzo in oro. Solo che l’oro cui vi sa fa riferimento sarebbe quello “interiore”, non certo quello che si trova nelle miniere: l’uomo comune rappresenterebbe il metallo grezzo; l’oro inteso come metallo, invece, simboleggerebbe l’uomo elevatosi spiritualmente attraverso una lunga serie di studi, sacrifici ed esercizi spirituali.

Non dimentichiamo che gli stessi alchimisti irridono quanti, ossessionati dalla sete di ricchezza, dilapidano le proprie fortune trascorrendo la vita chiusi in un laboratorio da cui si diffondono vapori puzzolenti nella speranza di fabbricare l’oro.

Come ogni cosa, anche l’alchimia possiede due facce della stessa medaglia. Il problema è quale delle due scegliere!

Avatar photo
Vincenzo Giarritiello
Nato a Napoli, ma da oltre vent’anni residente a Pozzuoli, Vincenzo Giarritiello alterna all’attività di scrittore quella di giornalista per passione. Nel 1997 ha pubblicato “L’ultima notte e altri racconti” e nel 1999 “La scelta”. Nel 2017 ha ristampato “La scelta” e nel 2018 ha pubblicato il romanzo breve “Signature rerum” ambientato nei Campi Flegrei. Nel 2019 ha stampato “Le mie ragazze rom scrivono” e “Raggiolo uno scorsio di paradiso in terra”. Nel 2020 ha editato la raccolta di racconti “L’uomo che realizzava i sogni”. Ha pubblicato con le Edizioni Helicon il romanzo “Il ragazzo che danzò con il mare”. Ha collaborato con le riviste online “Giornalewolf.it” e “Comunicare Senza Frontiere”; con quelle cartacee “Memo”, “Il Bollettino Flegreo”, “Napoli Più”, “La Torre”. Fino al 2008 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi a Pozzuoli e all’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida. Attualmente collabora con l’associazione culturale Lux in Fabula con cui ha ideato la manifestazione “Quattro chiacchiere con l’autore”. Nel 2005 ha attivato il blog “La Voce di Kayfa” e nel 2017 “La Voce di Kayfa 2.0”. Dal 2019 è attivo il suo sito www.vincenzogiarritiello.it
http://www.vincenzogiarritiello.it

Articoli Simili

Lascia un commento

Top Menu
Translate »
error: Il contenuto del sito è protetto
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: