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L’angelo col cuscino. Una storia vera sul dramma dell’anoressia | Gli articoli di Vincenzo Giarritiello

I fatti che sto per narrare riguardano il dramma dell’anoressia che ha colpito la figlia di una coppia di amici. Prima di riferirli, ho chiesto la loro autorizzazione: lei disse subito di sì; con lui ci sentimmo in seguito:

«Vincenzo, non c’è bisogno che mi chieda il permesso, sta storia devi raccontarla! Spero che possa servire affinché la gente capisca che in queste cose porre la massima attenzione non è mai abbastanza. Basta un attimo di rilassamento e rischi di piombare in un baratro da cui non ne esci più!».

Per rispetto della privacy ometterò nomi e luogo dove il dramma si è consumato, limitandomi alle iniziali dei protagonisti e della città.

Fortunatamente la vicenda volge verso il lieto fine, seppure ce ne vorrà del tempo perché le cose si normalizzino.

Ringrazio M. e S. per avermi concesso la loro fiducia, che la Vita li aiuti.

L’adolescenza è un’età critica, basta un niente perché nella testa dei ragazzi scatti la molla che li induca a commettere una follia, un gesto sconsiderato.

Per quanto i genitori possano seguirli con attenzione, cercando di cogliere il minimo segnale che tradisca uno squilibrio mentale o una condizione di disagio, intervenendo prontamente per evitare il peggio, gli adolescenti sanno mistificare così bene i propri stati d’animo tanto da rendere impossibile intuire il sopraggiungere dell’incombente tragedia, munendosi degli strumenti per fronteggiarla.

Questo vale per qualsiasi adolescente, figurarsi per una ragazza di vent’anni che non accetta di crescere, pretendendo d’essere trattata come una bambina.

M. e S. dal momento in cui compresero che M. aveva un problema, adottarono tutte le soluzioni: la portarono dai migliori specialisti, nella speranza riuscissero a farle accettare la crescita e i cambiamenti fisici che ne derivavano; la iscrissero a svariate attività artistiche e intellettuali, affinché attraverso l’impegno e il confronto con gli altri, trovasse se stessa.

Malgrado le problematiche che l’affliggevano, M. si diplomò e si iscrisse a un corso di fotografia, arte verso cui mostrava particolari capacità.

Alcuni anni fa tutti e tre furono nostri ospiti per qualche giorno a Raggiolo: all’epoca M. aveva poco più di dodici anni e non si staccava un attimo dalla madre. Osservando con quanta pazienza lei le prestava attenzione supportata dal marito, mia moglie e io non potemmo fare a meno di provare profonda stima, comprensione e rispetto per quella coppia di genitori, immaginando la sofferenza che albergava nei loro cuori.

Un pomeriggio che eravamo sdraiati in giardino a goderci il fresco della sera, lui mi fece una confessione:

«Vincé, spero di vivere il più a lungo possibile per potermi occupare di M.: l’hai vista, seppure ha quasi tredici anni, è una bambina. Il mio cruccio più grande è che un giorno qualche disgraziato possa avvicinarla e approfittare della sua innocenza!».

Ascoltandolo, capì a cosa si riferisse. Come se mi avesse letto nel pensiero, aggiunse:

«Fisicamente sta già assumendo i tratti della donna: che ne so se un giorno qualche farabutto non decida di…».

Da allora non ci siamo più rivisti fino a giugno di quest’anno, subito dopo la fine del lockdown, quando scesero per venire a trovare i rispettivi genitori.

Ci incontrammo a un bar del Vomero. Quando vidi la ragazza, rimasi sconvolto: era praticamente poco meno di uno scheletro!

Mentre passeggiavamo per via Luca Giordano, parlando con S., le chiesi:

«M. come sta?».

«Vincenzo, come vuoi che stia, non vedi com’è dimagrata?».

«Certo che lo vedo, per questo mi sono permesso di chiedertelo…».

«Mangia appena un pugno di riso: lo fa per non ingrassare perché non vuole che le crescano i seni!».

«Che tragedia» mormorai.

«Hai detto bene, è una tragedia! La sto portando da uno specialista nella speranza la convinca a nutrirsi come si deve, ormai è a un passo dall’anoressia!».

Quell’ultima parola mi mise i brividi!

«S., stalle vicino!».

«Ovvio che le sto vicino, ma non credere sia facile: M. è capricciosa e stizzosa. Non è semplice gestirla!».

Da allora non ci siamo più rivisti, ma ci siamo tenuti in contatto tramite telefono e sui social: S. ha un’ottima dimestichezza con la scrittura, leggere i suoi post dove racconta simpatici aneddoti che la riguardano, ironizzando sulla propria sbadataggine e cecaggine quando è priva di occhiali, è uno spasso.

Negli ultimi giorni di settembre non avevo fatto caso al suo improvviso silenzio: sabato scorso ha pubblicato un post agghiacciante, dal finale fortunatamente beneaugurante.

Preoccupato, provai a chiamarla sul cellulare per capire cosa fosse accaduto: seppure squillasse, non ci fu risposta. A quel punto chiamai M.

«Ciao, Vincenzo» rispose.

«Ciao, M., è successo qualcosa? S. ha pubblicato un post che mi ha raggelato! Ho provata a chiamarla ma non risponde».

«S. è in ospedale da M.».

«Perché? Cosa è successo?».

«La notte tra il 18 e il 19 settembre si è buttata di sotto, fortunatamente non è morta!».

«Ma che stai dicendo?» mormorai incredulo.

A quel punto mi raccontò nei dettagli l’accaduto:

«Quella sera M. voleva dormire con noi, per tranquillizzarla S. le si mise accanto nel letto ed è stata con lei fino alle 3. Solo quando sembrava si fosse addormentata, tornò in camera. Alle 4 mi sono svegliato di soprassalto: qualcuno da fuori urlava aiuto. Inizialmente ho pensato che fossero i ragazzini della movida – qui a V. la notte il fine settimana è un via vai di ragazzi fuori di testa a causa dell’alcol. Poiché le urla erano insistenti, mi sono alzato per vedere cosa stesse avvenendo. Nella camera di M. c’era la luce accesa. Quando sono entrato, la finestra era spalancata. In quell’attimo mi è sopravvenuto un pensiero terribile. Sono corso ad affacciarmi alla finestra: M. era distesa sull’asfalto in posizione innaturale… Noi abitiamo al terzo piano di un vecchio stabile, l’equivalente di un quarto piano moderno: ha fatto un volo di quindici metri! Sono sceso di corsa per le scale, certo che fosse morta. Mi sono avvicinato al corpo e l’ho accarezzato, sporcandomi le mani di sangue: sembrava non respirasse. Poi l’ho sentita lamentarsi. Nel frattempo mi ha raggiunto S., disperata: “Non ti avvicinare” le ho detto”, abbracciandola, “È viva!”. “Chiamate un’ambulanza!” ho urlato alla gente ai balconi. Pensa che se quella signora non si fosse affacciata, attratta dal tonfo, l’avrebbero trovata gli spazzini alle 6 del mattino. In quell’arco di tempo sarebbe morta per via delle ferite! All’ospedale i medici mi hanno spiegato perché si è salvata…».

«Perché è magra!?» azzardai.

«Non solo, si è tuffata a candela: ha rimbalzato sulle gambe, rompendosi gli arti inferiori e il bacino; ricascando, ha picchiato violentemente la faccia sull’asfalto, frantumandosi la mascella e fratturandosi il gomito. Stando ai dottori nell’arco di qualche mese recupererà l’intera funzionalità degli arti, senza riportare alcuna conseguenza. Il problema grosso è alla mandibola: all’interno le hanno messo diverse placche di metallo, gliele leveranno tra un paio di anni! Da quattro giorni è uscita dalla rianimazione: io e S. ci alterniamo ventiquattrore su ventiquattro al suo fianco, per legge non può essere lasciata da sola!».

«Non so che dirti», mormorai. «Tu conosci il dramma personale che sto vivendo».

«Certo!» rispose.

«Ma mi rendo conto che è niente rispetto al vostro!».

«Non dire così, anche tu attraversi una condizione non semplice».

«Quando senti S., me la saluti».

«Se vuoi, puoi chiamarla domani dopo le 11, alle 10 le darò il cambio in ospedale».

«Va bene, ti abbraccio».

Il giorno dopo telefonai a S.

«Ciao, Vincenzo».

«Ciao, S., Brunilde e io siamo senza parole!».

«Vincenzo, il peggio è passato, ma ti assicuro che è davvero un miracolo che non sia morta! I medici e i carabinieri non sanno darsi altra spiegazione: si è trattato di un miracolo!».

«S., sai bene come la penso su certe cose: non è vero ma ci credo!».

«Vincenzo qui non si tratta di crederci oppure no: il miracolo è avvenuto per davvero. Ascolta ciò che mi ha raccontato M. quando è uscita dalla rianimazione: “Mamma, io lo so perché non sono morta” mi disse. ”Perché?’”. “È stato merito dell’angelo”. A quel punto restai perplessa, M. non ha mai palesato interesse verso argomenti religiosi, né tantomeno verso gli angeli in particolare: “Quale angelo?” le chiesi. “Quello che ha poggiato il cuscino a terra mentre cadevo!”. Vincenzo, te lo dico e mi vengono i brividi!».

«S. i brividi stanno venendo a me!».

«”M. spiegati meglio” insistetti. “Mentre precipitavo, in strada c’era un angelo che ha poggiato un cuscino proprio nel punto dove sono caduta. Se non era per lui, sarei morta!”».

Mentre ascoltavo quell’incredibile storia, una ridda di pensieri si accavallavano nella mente. Alla fine dissi:

«M. è un’anima pura, evidentemente lassù qualcuno la protegge!».

«Vincenzo, c’è un altro episodio che devo raccontarti: quando la trasportarono in ospedale e la operarono, mentre ero in attesa nel corridoio, mi si avvicinò una suora: era bassina, dall’aria serena ma strana. Mi prese le mani tra le sue e, sorridendo, disse: “Stai tranquilla, tua figlia si salverà: il signore per lei ha un altro disegno!”. Vincenzo, ti giuro che non l’avevo mai vista prima né ho capito da dove fosse sbucata… Mi consideri pazza?».

«No, ti credo: ci sono cose che vanno al di là dell’umana comprensione. Bisogna semplicemente accettarle, altro non possiamo fare!».

«Vincenzo, M. era arrivata a pesare trentacinque chili: quando mandai a mamma una sua foto pochi giorni prima che si buttasse, non la riconobbe. Tutto è precipitato durante il lockdown: vedendo su internet le foto dei cibi che la gente cucinava e postava sui social, disse: “Qui va a finire che ingrasso solo a guardare!”. Da allora decise di non mangiare quasi più niente: ti rendi conto di cos’è questa malattia?».

«S. ora pensa solo a lei, il peggio è passato».

«Sì, Vincenzo, il peggio è passato: la riabilitazione sarà lunga, ma mia figlia è viva, ed è questa l’unica cosa che importa!».

M. dovrebbe lasciare l’ospedale lunedì della prossima settimana e iniziare la riabilitazione a casa. Tra un mese, quando sarà in grado di reggersi in piedi, verrà trasferita in un centro di riabilitazione.

La strada per la normalità è lunga e tortuosa, ma sono certo che il sereno tornerà a colorare le vite dei miei amici. Se lo meritano!

A vegliare sulla loro figlia ci pensa l’angelo col cuscino!

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Vincenzo Giarritiello
Nato a Napoli, ma da oltre vent’anni residente a Pozzuoli, Vincenzo Giarritiello alterna all’attività di scrittore quella di giornalista per passione. Nel 1997 ha pubblicato “L’ultima notte e altri racconti” e nel 1999 “La scelta”. Nel 2017 ha ristampato “La scelta” e nel 2018 ha pubblicato il romanzo breve “Signature rerum” ambientato nei Campi Flegrei. Nel 2019 ha stampato “Le mie ragazze rom scrivono” e “Raggiolo uno scorsio di paradiso in terra”. Nel 2020 ha editato la raccolta di racconti “L’uomo che realizzava i sogni”. Ha pubblicato con le Edizioni Helicon il romanzo “Il ragazzo che danzò con il mare”. Ha collaborato con le riviste online “Giornalewolf.it” e “Comunicare Senza Frontiere”; con quelle cartacee “Memo”, “Il Bollettino Flegreo”, “Napoli Più”, “La Torre”. Fino al 2008 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi a Pozzuoli e all’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida. Attualmente collabora con l’associazione culturale Lux in Fabula con cui ha ideato la manifestazione “Quattro chiacchiere con l’autore”. Nel 2005 ha attivato il blog “La Voce di Kayfa” e nel 2017 “La Voce di Kayfa 2.0”. Dal 2019 è attivo il suo sito www.vincenzogiarritiello.it
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