Quest’anno ricorre il centenario dell’autonomia amministrativa di Bacoli, che fino al 1919 era una “Borgata” del Comune di Pozzuoli. Tra gli eventi di maggiore portata storica di questi 100 anni vi è certamente l’apertura del Silurificio Italiano a Baia, che per la cittadina flegrea significò un vero e proprio salto nella modernità. Lo stabilimento, ufficialmente inaugurato nel marzo del 1939, arrivò a impiegare più di 5000 operai e divenne un potente motore di sviluppo, con importanti ricadute sull’economia locale anche in termini di indotto.
Durante la guerra le commesse della Regia Marina divennero particolarmente consistenti, al punto che nel 1943 fu realizzato un secondo impianto sulle sponde del Lago Fusaro, a poca distanza dall’Isolotto di S. Martino, dove avvenivano le operazioni di collaudo e i test di lancio. Ma nel settembre di quell’anno, prima dell’arrivo delle truppe anglo-americane, i tre stabilimenti furono fatti saltare in aria dai tedeschi in ritirata. Nel periodo postbellico la produzione siluristica fu riconvertita a usi civili, soprattutto nel settore meccanico e in quello della tecnologia delle telecomunicazioni. A Baia nacque l’Industria Meccanica Napoletana (IMN), attiva tra il 1950 e il 1958, mentre al Fusaro la Microlambda, confluita poi in Selenia nel 1960, Alenia nel 1990, Selex nel 2005. Nonostante però i vari cambi di denominazione e ragione sociale, in particolare la fabbrica di Baia continuò a essere ricordata dagli ex-operai come Silurificio, a ulteriore riprova dell’importanza epocale che la sua comparsa aveva avuto alla fine degli anni Trenta.
Ciò ad esempio si evince dal racconto di una sorridente e simpatica signora di 85 anni, Angelina Costigliola, originaria di Cappella, che all’inizio degli anni Cinquanta trovò impiego nell’IMN. Dalle sue parole viene fuori un piccolo ma interessante spaccato della vita di fabbrica, visto da un’insolita prospettiva al femminile.
Di dove è originaria la tua famiglia e da chi era composta?
Mia madre era di Napoli, mio padre di Cappella. Dei sei figli io ero e sono la più grande. Proprio per questo, in tempo di guerra, andavo io a prendere pane e pasta con la tessera. Per risparmiare prendevamo ‘i mminuzzaglie, i maccheroni spezzati. Ero io che accudivo i miei fratelli, ero una bambina ma ero già grande, mi chiamavano ‘a mammarella.
Che lavori hai svolto quando eri ragazza?
Ho fatto di tutto. Lavoravo a maglia, svolgevo le faccende di casa e aiutavo mio padre in campagna: avevamo una terra di famiglia e io raccoglievo fave e piselli, o legavo le fascine con i resti della potatura.
A che età e come sei entrata in fabbrica?
Avevo circa 18 anni, era il ’51 o ’52. A dire la verità, non volevo andare a lavorare. Siccome però ne avevo necessità, andai all’Ufficio di Collocamento e presentai la domanda come disoccupata. Non ti dico come eravamo considerate proprio per il fatto di andare a lavorare. All’epoca non si ammetteva che una donna andasse a lavorare, anzi era malvista, si pensava che perdesse di pregio. Tra le mie conoscenze, fummo solo in cinque a iscriverci al collocamento. Entrammo nel Silurificio di Baia (Industria Meccanica Napoletana ndr).
Qual era la tua mansione in fabbrica?
Lavoravo alla catena di montaggio del Paperino (il ciclomotore più popolare tra quelli prodotti dall’IMN ndr). Eravamo 6-7 donne, più il capo che ci controllava. Il nastro scorreva e ognuna montava il suo pezzo. Io ero addetta alla sella. Alla fine della catena il motorino veniva fuori per intero. Poi andava al collaudo.
Era un lavoro faticoso? Quante ore durava la tua giornata?
Era duro sì! non avevamo neanche il tempo di andare al bagno. Quando proprio non ne potevamo più, per allontanarci dovevamo gridare all’addetto di fermare il nastro trasportatore. Erano bei sacrifici! Si lavorava dalle 8 del mattino fino alle 5-6 del pomeriggio, con uno spacco da mezzogiorno all’una. Ho lavorato lì circa 6 anni, di preciso non lo ricordo. Poi smisi quando mi fidanzai con il mio futuro marito. Lui non voleva e nemmeno io. Dicevo: se mi sposo, voglio essere donna di casa, non mi va di andare a lavorare.
Quante persone all’incirca erano impiegate in fabbrica?
Di preciso non lo so. Forse 200-300 persone. Comunque di lavoro ce n’era molto.
E dove hai conosciuto tuo marito?
Nel Silurificio. Non lo avevo mai visto. Poi un giorno venne a fare l’inventario nel settore dove lavoravo. Si informò su di me tramite un amico comune, che continuava a dirgli: «Pigliatella, è ‘na bbona guagliona!» e lo stesso diceva a me di lui. Fummo fidanzati per 5 anni. Mi licenziai poco dopo il fidanzamento e con la mia liquidazione comprai un pezzetto di terra per mia madre.
Tuo marito ha continuato a lavorare al Silurificio ovvero all’IMN?
Stefano (Alicante ndr) era tornitore e ha continuato fino alla chiusura dell’IMN, poi passò nello stabilimento del Fusaro alla Microlambda, in seguito diventata Selenia. È stato sempre attivo in politica, ha fatto il sindacalista per la Federazione Italiana Metalmeccanici CISL e nei suoi ultimi anni di vita è stato anche assessore al Comune di Bacoli (nel 1998-1999 ndr). Andava spesso a Roma, partecipava a convegni su convegni, era impegnato notte e giorno.
Angelina ha un mucchio di cose da raccontare sulla sua epoca, sulla vita semplice che conduceva a Cappella negli anni Cinquanta e Sessanta, sulle tradizioni familiari e di paese ormai scomparse. Si potrebbe scriverne un libro. Ma questo compito lo lasciamo volentieri alla nipote, studentessa liceale, sua omonima. Ci limitiamo a una sola considerazione. Angelina si affacciò per necessità alla vita di fabbrica come a qualcosa di estraneo, quasi di alieno e incompatibile con il ruolo che lei stessa si riconosceva in quanto donna. Il suo improvviso impatto con la vita di fabbrica e l’altrettanto rapido ritorno alle occupazioni domestiche ben simboleggiano l’istinto di sopravvivenza di una cultura tradizionale messa profondamente in questione dall’irrompere della modernità che l’industria rappresentava.