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La cultura del mare a Pozzuoli: pescatori, pescivendoli, cozzicari (Parte I). Intervista a Giuseppina Maddaluno, ‘a mugliera ‘i Matteo Coppola

La pesca e le attività ittiche hanno avuto un ruolo centrale nella storia e nella cultura puteolana. Per secoli, i pescatori di Pozzuoli hanno percorso in lungo e largo l’alto Tirreno, esportando le loro tecniche marinaresche insieme alle tradizioni millenarie di cui erano depositari. Oggi i pescatori sono una razza in estinzione, che giorno dopo giorno lotta eroicamente per sopravvivere. Le loro storie familiari, i loro racconti, la loro lingua costituiscono un’importante testimonianza storica, che ci permette di comprendere i profondi cambiamenti avuti dalla comunità puteolana nell’ultimo secolo.

Iniziamo un breve viaggio della memoria marinara con un’intervista a Giuseppina Maddaluno, moglie di Matteo Coppola, un pescatore puteolano attivo tra gli anni ’60 e ’80. Una testimonianza femminile è un punto di partenza inusuale, perché la pesca è un tipico mestiere da uomini (non a caso ‘pescatrice’ è solo il nome di un pesce). Non di meno, le mogli e le madri dei pescatori si rivelano fedeli custodi della cultura del mare.

Giuseppina ci accoglie sorridente nella sua casa di Monteruscello, dove vive con la famiglia della sua ultima figlia. È un po’ emozionata, ma si vede che ha voglia di raccontarsi.

Che origini hanno la famiglia tua e quella di tuo marito?

Sia io sia mio marito proveniamo da famiglie di pescatori, dal lato paterno e materno. Siamo puteolani puteolani. Io sono nata a via Cesare Augusto, in mezzo alla piazza. A due mesi, mio padre fu fatto prigioniero dai tedeschi. Quando lo hanno liberato ed è tornato avevo due anni e non lo riconoscevo. Chiamavo papà mio nonno.

Quando hai conosciuto tuo marito Matteo?

Ho conosciuto mio marito quando era già pescatore, avevo diciassette anni e lui diciotto, abitavamo vicino. Ci siamo sposati nel ’64. Già allora faceva attività di pesca a Civitavecchia, dove andava ogni anno per sei mesi. Pescava con le reti.

Come si chiamava la barca di tuo marito?

Assunta, come la mamma, che morì quando lui aveva 11 anni. La portava nel cuore e decise di dedicarle la barca. A Pozzuoli, Assunta è anche la Madonna dei pescatori.

Come avveniva la partenza per Civitavecchia?

Erano cinque o sei barche a partire tutte insieme. Per arrivare a destinazione ci volevano 24 ore. Passavano davanti alla chiesa della Madonna Assunta, tutti i pescatori immergevano le mani in acqua e si facevano il segno della croce. Poi se ne andavano. La Madonna li proteggeva in mare.

Come erano le attese quando lui era a Civitavecchia?

Ero abituata già con mio padre: per sei mesi lui e i suoi compagni non si vedevano mai. Mio marito invece veniva ogni quindici giorni, ogni mese. Prendeva il treno e veniva a casa per vedere i figli. Nel ’70 avevamo tre figli, così lui decise di non partire più. Tornato a Pozzuoli, non ha pescato più con le reti, ma con le nasse.

Quando tornava, tuo marito ti portava qualche regalo?

No, allora non c’erano queste cose. Mio marito diceva: “I regali te li fai tu. Io penso a portare i soldi a casa”. Infatti, io custodivo tutto. Si fidava di me, perciò mi dava fino all’ultima lira del guadagno. Lui aveva il pensiero della pesca e io quello della famiglia.

Anche quando tuo marito tornò a Pozzuoli e usciva in mare con tuo figlio eri preoccupata?

Se si faceva troppo tardi, significava che le cose non andavano bene, o che c’era mal tempo, oppure che qualcuno aveva rubato il pescato dalle nasse. Quando passavano l’una o le due e non rientravano, sì c’era da preoccuparsi.

Che tipo di vita vi consentiva di fare la pesca?

Fino agli anni ’90 abbiamo vissuto in buone condizioni, ai miei figli non è mancato niente. Però si stava bene soprattutto a metà degli anni ’80, quando mio marito e mio figlio andavano a pescare a Formia. I pesci li portavano al mercato ittico di Pozzuoli. Quegli anni erano belli, anche se pieni di sacrifici, ma si vedeva il guadagno. Per la famiglia era importante perché avevamo figlie femmine da sistemare. Eravamo abituati così: quando le figlie dovevano sposarsi, non doveva mancare niente. Alla casa doveva pensare il marito, ma alle cose di casa, ai corredi, la famiglia della sposa.

Avete mai pensato di andare via da Pozzuoli?

Nel ’70, durante il bradisismo, ci siamo trasferiti a Civitavecchia per cinque mesi. Anche la mia famiglia si trasferì lì ma solo per due mesi, poi tornarono a casa. Le mie sorelle, signorine, piangevano perché avevano i fidanzati a Pozzuoli. Io rimasi da sola con tre figli, mentre mio marito andava a pescare. Lui sarebbe voluto rimanere là per sempre. Ma io no, perché a Pozzuoli avevo la mia famiglia. Là invece non avevo nessuno, mi sentivo sola.

Che ricordi hai invece del bradisismo del 1983-1984?

La scossa più forte fu il 4 ottobre, S. Francesco. Nel mio palazzo rimanemmo da soli e mio marito disse: “Adesso dobbiamo scappare, qui non possiamo restare più”. Andò in cerca di una casa dove andare, ripeteva: “Lascio una casa e voglio una casa. Non voglio né roulotte né alberghi”. Avevamo soprattutto il pensiero per le nostre figlie femmine. Andammo a Baia Verde, dove rimanemmo per un anno e mezzo. Poi tornammo a casa nostra, perché tutte le attività erano nel porto di Pozzuoli.

Qual era il tuo sogno?

Stare bene tutti. Io sono religiosa e ancora oggi prego sempre per i miei figli e i miei nipoti, perché stiano bene tutti.

 

È come un fiume in piena Giuseppina, ci vorrebbe un libro per raccontare tutto quello che sa e ha da dire. Mentre parla le brillano gli occhi, si emoziona, si rattrista, prova nostalgia. Sa perfettamente di essere una delle ultime rappresentanti di una tradizione familiare al tramonto: un solo figlio maschio pescatore e nessun nipote intenzionato a seguire le sue orme. Resta però l’orgoglio della memoria. Lei stessa di quel mondo si considera protagonista, anche se nella divisione dei ruoli le spettava amministrare la casa. Ci rivela: “Io so fare le reti. Le armavo io per mio marito e col tempo ho imparato anche a fare le nasse. L’ho aiutato molto nel mestiere della pesca. Poi il Signore se l’è preso piccolo, a 55 anni, e io sono rimasta con i miei figli. Ne ho cinque: Francesco è il primo, poi ho avuto quattro femmine”.

Proprio Francesco sarà il nostro prossimo intervistato.

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Maurizio Erto
Dottore di ricerca in “Filologia Classica” presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, insegna lettere al Liceo Scientifico “Ettore Majorana” di Pozzuoli. Sui Campi Flegrei ha pubblicato il libro “Pozzuoli 1860-1863. Storie e controstorie del Risorgimento nei Campi Flegrei” (D'Amico Editore, 2017) e tre articoli per la rivista «Bruniana & Campanelliana. Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali»: “Le osservazioni del giovane Campanella sul vulcanismo dei Campi Flegrei” (XXII/1, 2016); “Giocare col fuoco nel Seicento. Esperimenti e osservazioni naturalistiche nella Solfatara di Pozzuoli” (XXIII/2, 2017); "Le vedute di Baia e Pozzuoli nel Thesaurus philo-politicus di Daniel Meisner. Una riflessione allegorica sulla fortuna e sul potere" (XXIV/2, 2018). Inoltre, sempre per D’Amico Editore, ha curato l'edizione dell'operetta di Vitangelo Morea "Una giornata di divertimento da Napoli a Pozzuoli per Succavo (1833)"; il volume commemorativo "Bacoli 1919-2019. Cento anni di storia" e i due volumi "Pozzuoli 1970-2020. A cinquant'anni dallo sgombero del Rione Terra". Di recente ha pubblicato "L'antifascismo a Pozzuoli e nell'area flegrea. Forme di dissenso politico e sociale durante il ventennio fascista".

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