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Grazie all’orrore di Gaza, antisemita sta assumendo un significato sempre meno dispregiativo

Inflazione è un termine economico con cui si indica l’aumento generale dei prezzi e la diminuzione del potere d’acquisto della moneta. Da esso deriva il termine inflazionato per indicare qualcosa di abusato, trito, logoro che proprio a causa della sua ripetitività perde valore.

Da quando a Gaza è in corso l’azione militare di Israele per stanare i terroristi di Hamas autori della terribile strage del 7 ottobre 2023 in cui persero la vita oltre 1200 israeliani e più di 200 furono fatti prigionieri, nell’opinione pubblica mondiale sta montando in maniera sempre più insistente un sentimento pro palestinese e anti israeliano.

Verso chiunque metta in discussione l’azione militare che l’IDF sta conducendo a Gaza, non contro un altro esercito ma facendo strage di migliaia di civili inermi, le autorità israeliane e chiunque le sostenga puntano l’indice contro tacciandolo di antisemitismo. Termine che fino ad alcuni anni fa faceva venire i brividi in quanto chiunque ne venisse accusato si sentiva implicitamente etichettato come nazista o fascista.

Oggi basta profferire un semplice mah per commentare l’azione militare israeliana a Gaza, lasciando intendere che si ha più di un dubbio sulla sua effettiva legittimità, che si rischia di essere tacciati di antisemitismo.

Ed è proprio quest’abuso ormai indiscriminato del termine antisemita che fa sì che la parola non susciti più alcun timore in chi ne fosse accusato. Anzi, mai come ora, essere tacciati di antisemitismo, facendo i dovuti distinguo, suona quasi come un complimento, vista la bestiale ferocia dell’esercito israeliano contro civili inermi, operatori sanitari, giornalisti e rappresentanti di associazioni umanitarie.

Israele non si fa scrupoli perfino di accusare funzionari dell’ONU di essere antisemiti o, addirittura, simpatizzanti di Hamas solo perché hanno denunciato, dati alla mano, che quanto sta compiendo a Gaza è un genocidio. Aprendo perfino una discussione lessicale sul termine genocidio: per Israele e i suoi alleati l’unico genocidio fu quello che subirono gli ebrei da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale.

Eppure perfino molti israeliani, tra cui lo scrittore israeliano David Grossman, seppure dopo molte perplessità, sono stati costretti ad ammettere che a Gaza e in corso un genocidio.

Sempre per quanto riguardo l’uso corretto delle parole, quanto sta avvenendo a Gaza viene descritto come guerra. Tale definizione è sbagliata. Una guerra è quando si affrontano gli eserciti di due stati belligeranti tra loro. Se quanto sta avvenendo nella striscia di Gaza lo si vuole definire a ogni costo guerra per giustificare la crudeltà delle azioni dell’esercito contro i civili, crudeltà condannate da tanti organismi internazionali, ONU in primis, come crimini contro l’umanità, tacitamente si sta riconoscendo l’esistenza dello Stato palestinese. Che poi a perpetrare la carneficina è uno Stato nato per volontà delle Nazioni Unite all’indomani della Seconda Guerra mondiale per ripagare gli ebrei dell’orrore che avevano subito dai nazisti è davvero paradossale.

A proposito del riconoscimento dello Stato di Palestina, che sembra tanto irritare Israele, sul numero 1630 dell’Internazionale del 5 settembre, in un articolo dall’eloquente titolo RICONOSCERE LA PALESTINA NON CAMBIA NIENTE, Alaa Salama, di +972 Magazine, anziché riconoscere lo Stato di Palestina, propone il riconoscimento di Israele come Stato di apartheid, come avvenne per il Sudafrica razzista. Alaa scrive, “Riconoscere Israele come stato di apartheid è il primo passo necessario verso un futuro senza etnonazionalismo, fondato sull’uguaglianza, la giustizia e la libertà per tutti. E non è un passo simbolico, l’apartheid è un crimine contro l’umanità secondo il diritto internazionale. […] Riconoscere ufficialmente che il sistema israeliano si basa sull’apartheid, anche se lo facesse una manciata di stati, metterebbe sul tavolo questi obblighi (il risarcimento ai palestinesi, n.d.r.), e renderebbe legalmente e politicamente indifendibile continuare a sostenere militarmente ed economicamente Israele.”

Come si può restare indifferenti di fronte alle violenze che l’esercito israeliano non si fa scrupoli di commettere a Gaza, trucidando persone inermi, bambini inclusi, mentre sono in fila per cercare di impossessarsi di un pezzo di pane? Bombardando ospedali, tende, postazioni giornalistiche con la giustificazione che erano rifugio dei terroristi e molte delle persone uccise erano militanti di Hamas, senza portare uno stralcio di prova?

Solo ora che Gaza è distrutta e l’esercito israeliano è entrato nella striscia per completare lo sterminio della popolazione, molti di quei governi che fino a ieri sostenevano Israele senza se e senza ma, incluso quello italiano, seppure timidamente, ammoniscono Israele a porre fine al genocidio. Le classiche lacrime di coccodrillo dei politici. Il tipico chiagne e fotte all’italiana.

A causa dell’efferatezza dell’azione israeliana e in risposta all’inerzia degli Stati, in difesa della popolazione palestinese è nata la Global Sumund Flottilia, un coro di barche di diverse nazionalità, salpate da distinti porti del mediterraneo, per portare aiuti umanitari ai palestinesi. Ponendosi come facile bersaglio alla reazione israeliana, ma dimostrando che nel mondo esiste ancora un senso di umanità.

In virtù di quanto sopra descritto, oggi essere tacciati di antisemitismo non rappresenta più motivo di vergogna perché l’accusa viene da un governo criminale, come hanno dichiarato la Corte Penale Internazionale, la Corte internazionale di Giustizia e l’ONU.

Ma soprattutto a svuotare del suo peso la parola antisemita è l’abuso indiscriminato, l’inflazione appunto, che ne fa chi la usa verso chiunque dimostri un minimo di simpatia verso i palestinesi.

Israele giustifica la sua azione di distruzione di massa affermando che sta agendo in nome di dio per realizzare il sogno della Grande Israele. In nome di quale dio, non si sa!

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Vincenzo Giarritiello
Nato a Napoli, ma da oltre vent’anni residente a Pozzuoli, Vincenzo Giarritiello alterna all’attività di scrittore quella di giornalista per passione. Nel 1997 ha pubblicato “L’ultima notte e altri racconti” e nel 1999 “La scelta”. Nel 2017 ha ristampato “La scelta” e nel 2018 ha pubblicato il romanzo breve “Signature rerum” ambientato nei Campi Flegrei. Nel 2019 ha stampato “Le mie ragazze rom scrivono” e “Raggiolo uno scorsio di paradiso in terra”. Nel 2020 ha editato la raccolta di racconti “L’uomo che realizzava i sogni”. Ha pubblicato con le Edizioni Helicon il romanzo “Il ragazzo che danzò con il mare”. Ha collaborato con le riviste online “Giornalewolf.it” e “Comunicare Senza Frontiere”; con quelle cartacee “Memo”, “Il Bollettino Flegreo”, “Napoli Più”, “La Torre”. Fino al 2008 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi a Pozzuoli e all’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida. Attualmente collabora con l’associazione culturale Lux in Fabula con cui ha ideato la manifestazione “Quattro chiacchiere con l’autore”. Nel 2005 ha attivato il blog “La Voce di Kayfa” e nel 2017 “La Voce di Kayfa 2.0”. Dal 2019 è attivo il suo sito www.vincenzogiarritiello.it
http://www.vincenzogiarritiello.it

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