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Una pizza con papà trentacinque anni dopo | Un racconto di Vincenzo Giarritiello

Venerdì della scorsa settimana approfittando che eravamo in zona gialla, per cui ci potevamo spostare da un comune all’altro senza l’incubo che le forze dell’ordine ci fermassero e ci chiedessero l’autocertificazione per giustificare dove andassimo, decisi di farmi un giro per Napoli.

Con la mascherina sul viso presi la metro e scesi a Piazza Amadeo per passare dalla Feltrinelli a dare uno sguardo alle novità librarie.

Malgrado il cielo fosse parzialmente nuvoloso, visto che non pioveva, quando uscii dalla libreria decisi di allungarmi a piedi fino a Piazza Garibaldi, prendere la metro alla stazione centrale e rientrare a casa. Un buon pretesto per sgranchirmi le gambe dopo intere giornate chiuso in casa per via delle restrizioni coatte per fronteggiare la pandemia.

Alla fine di Corso Garibaldi fui colto da un moto di nostalgia, ripensando all’epoca in cui lo percorrevo in senso inverso con papà per andare a lavoro quando, durante il periodo natalizio, fui assunto come stagionale presso il negozio di giocattoli lui lavorava fin da ragazzo.

Precisamente con la mente riandai a quando, pochi giorni a natale, durante la pausa pranzo, andammo a mangiarci una pizza in un locale storico nei pressi della circumvesuviana: io ordinai una margherita, lui la solita marinara.

Al termine mi chiese se volessi qualche altra cosa.

“Una marinara” risposi.

Ricordo con quanta gioia mi fissò mentre divoravo la marinara e il divertimento con cui lo raccontò ai colleghi quando rientrammo.

“Giarritiè, a stu figlio tuo è meglio a lo fa nu vestito che a lo invità a pranzo” disse divertito Orlando il cassiere.

Mezzogiorno era passato da un bel po’. Ripensando a quell’episodio, decisi di andarmi a mangiare una pizza nello stesso locale in memoria di quel bel momento di convivialità tra padre e figlio.

Con la mascherina sul viso, entrai in pizzeria. Toltomi il giaccone, mi sedetti a tavola e ordinai una marinara e un’acqua minerale.

Nell’attesa di essere servito, mi guardavo intorno cercando di ricordare come fosse il locale trentacinque anni prima – di sicuro era stato allungato – e dove esattamente sedessimo – probabilmente non poco distante dal forno.

Quando il cameriere mi portò la pizza, dal piatto si levava un intenso profumo di origano e aglio che mi spalancò lo stomaco.

“Alla tua salute, papà” dissi mentalmente.

Mi tolsi la mascherina e iniziai a mangiare.

Al termine, rimisi la mascherina sul viso, mi alzai, indossai il giaccone e andai a pagare.

“Quant’è? “.

“Sette euro”.

Presi dieci euro dal portafoglio e li diedi al cassiere.

“Da quanti anni state qui?” gli domandai in attesa del resto.

“Quest’anno festeggiamo il centenario, ma noi abbiamo rilevato il locale da una quindicina di anni”.

“Io venni qui molti anni fa con papà, durante il periodo natalizio, quando lavorai con lui da Minale”.

A quel punto il pizzaiolo che stava preparando una pizza si volse a guardarmi incuriosito.

“Vostro padre lavorava da Minale?” mi domandò.

“Sì, per quasi quarant’anni. Ci ho lavorato anch’io nel 1985, l’anno successivo lavorai da PIM”.

“State parlando di quell’epoca” disse indicandomi la foto sulla parete alle mie spalle: era immortalato un gruppo di giovani di cui doveva far parte sicuramente anche lui.

Quindi tornò a fissarmi.

“Come si chiamava vostro padre?”.

“Ciro Giarritiello. Prima dell’incendio, lavorò nel negozio di Piazza Mercato. In seguito, insieme ad altri cinque colleghi, fu trasferito in quello allestito nel deposito di via Corradino di Svevia”.

“L’incendio me lo ricordo benissimo, io abitavo nel palazzo accanto a quello che bruciò”.

“A Corradino di Svevia con papà lavoravano Orlando il cassiere… “.

“Orlando me lo ricordo”.

“Tonino Travaglini, don Armando, Eugenio… “.

“Anche don Eugenio me lo ricordo benissimo”.

“Papà era alto, aveva i capelli leggermente brizzolati e portava gli occhiali”.

“Ho capito chi era vostro padre” disse sorridendo.

A quel punto si volse verso il cassiere che mi stava porgendo il resto e gli mormorò qualcosa all’orecchio. Questi fece di sì con il capo. Aprì la cassa, ripose le monete, prese la banconota da dieci euro e ma la diede.

“Cosa significa?” chiesi stupito, alternando lo sguardo tra il pizzaiolo e il cassiere.

“Oggi siete mio ospite” rispose il pizzaiolo. “È un omaggio da parte mia a voi e vostro padre”.

“Grazie” sorrisi.

Infilai i soldi nel portafoglio, salutai e uscii dalla pizzeria.

Fuori aveva iniziato a piovere, una pioggerella sottile lavava la strada.

Levai lo sguardo al cielo.

“Ciao papà, alla prossima!” salutai con il pensiero.

Alzai il cappuccio sul capo e mi avviai verso la stazione centrale.

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Vincenzo Giarritiello
Nato a Napoli, ma da oltre vent’anni residente a Pozzuoli, Vincenzo Giarritiello alterna all’attività di scrittore quella di giornalista per passione. Nel 1997 ha pubblicato “L’ultima notte e altri racconti” e nel 1999 “La scelta”. Nel 2017 ha ristampato “La scelta” e nel 2018 ha pubblicato il romanzo breve “Signature rerum” ambientato nei Campi Flegrei. Nel 2019 ha stampato “Le mie ragazze rom scrivono” e “Raggiolo uno scorsio di paradiso in terra”. Nel 2020 ha editato la raccolta di racconti “L’uomo che realizzava i sogni”. Ha pubblicato con le Edizioni Helicon il romanzo “Il ragazzo che danzò con il mare”. Ha collaborato con le riviste online “Giornalewolf.it” e “Comunicare Senza Frontiere”; con quelle cartacee “Memo”, “Il Bollettino Flegreo”, “Napoli Più”, “La Torre”. Fino al 2008 ha coordinato laboratori di scrittura creativa per ragazzi a Pozzuoli e all’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida. Attualmente collabora con l’associazione culturale Lux in Fabula con cui ha ideato la manifestazione “Quattro chiacchiere con l’autore”. Nel 2005 ha attivato il blog “La Voce di Kayfa” e nel 2017 “La Voce di Kayfa 2.0”. Dal 2019 è attivo il suo sito www.vincenzogiarritiello.it
http://www.vincenzogiarritiello.it

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