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Aediculae: La fede sui muri

Il termine latino “aedicula”, diminutivo di “aedes” cioè casa o tempio, si riferisce ad una piccola costruzione che sulla facciata riporta il timpano e le colonne, elementi tipici del tempio classico.

All’interno del “tempietto” viene racchiusa l’immagine venerata o adorata.

Già in epoca romana l’uso diffuso di dedicare “aediculae” alle divinità protettrici dei luoghi e delle famiglie è una testimonianza dell’esigenza dell’uomo di innalzare agli Dei altari privati come oggetto di cura e devozione.

Infatti, l’edicola era così diffusa che in ogni casa, per quanto potesse essere piccola, era presente un angolo preposto ad accogliere le immagini dei Lari, dei Penati, degli antenati di famiglia

Un esempio interessante di edicola antica é il Larario ritrovato nella villa romana di Carmiano, a Castellammare di Stabia oggi conservato nell’Antiquarum della città stabiese. Si tratta di una edicola di stucco con una facciata a due colonne sulle quali poggia il frontoncino.

Sul fondo dell’edicola, che accoglieva le statuine del Lari e dei Penati, è affrescata la figura di Minerva, seduta su un trono, con l’elmo in testa, la lancia e lo scudo e, sotto l’edicola è affrescata la scena del serpente agatodemone (spirito tutelare di buona fortuna), considerata di buono augurio per gli abitanti della casa.

Secondo il Cristianesimo la grandezza di Dio, della Madonna e dei Santi non poteva essere celebrata in spazi così piccoli perciò l’uso di innalzare edicole alle divinità fu progressivamente abbandonato.

Ma agli inizi del XV secolo a Firenze, Genova, Venezia e, specialmente a Roma, Bari, Palermo e Napoli riprende l’uso di edificare questi tempietti.

Oggi il termine edicola sta ad indicare una nicchia o un vano contenente oggetti di particolare significato religioso, come dipinti e statue, ma anche oleografie, stampe, pannelli maiolicati o targhe in ceramica smaltata con l’aggiunta dell’aggettivo “votiva” perché, il più delle volte, le edicole venivano, e ancora oggi vengono, erette per assolvere ad un voto.

Queste rappresentazioni sono molto interessanti per capire la cultura popolare, la pietas di un popolo che in ogni tempo, dall’antichità ad oggi, ha ricercato la rassicurante protezione divina nei momenti difficili della vita.

Esse sono una parte significativa della cultura napoletana, anche se strettamente legate alla società del vicolo, ma non per questo meno interessanti.

Padre Rocco

Gregorio Maria Rocco, padre domenicano nato a Napoli il 4 ottobre del 1700, comunemente chiamato Padre Rocco, si può tranquillamente considerare il protettore dei derelitti.

Non si contano le opere di carità, gli aiuti ed i sussidi che riusciva ad avere per quella gran massa di uomini avviliti ed umiliati dalla povertà.

Benvoluto anche dai nobili e dai Borbone, Padre Rocco riusciva ad ottenere, quasi sempre, ciò che desiderava.

Collaborò con il re Carlo III alla ideazione di un ospizio per dare un ricovero a tutti i poveri del regno, il cd Albergo dei Poveri a Piazza Carlo III.

Albergo dei poveri, Piazza Carlo III, Napoli. (Foto Baku)      
Albergo dei poveri in costruzione, litografia del D’Ambra fine ‘800

Nel 1751, ad opera di Ferdinando Fuga, ebbero inizio i lavori per la costruzione della struttura che durarono quasi ottant’anni, terminando nel 1829 per cui il povero padre Rocco, morto nel 1782, non ne vide la fine, così come molti poveri non vi poterono essere ricoverati.

Padre Rocco è ancora oggi famoso perché, si racconta che, oltre a predicare il Vangelo e a fare opere di bene, imponeva il rispetto delle regole e della Fede con un nodoso e robusto bastone che giudicava il mezzo più indicato per accaparrarsi e conservare il rispetto dei fedeli.

Grande “invenzione” di padre Rocco fu quella dell’illuminazione delle strade che nella Napoli del ‘700, era inesistente.

I nobili venivano scortati da servi con lanterne ed la povera gente, onde evitare brutti incontri, la sera si rintanava in casa.

I delinquenti, ed erano molti, la facevano da padroni: essi si appostavano al buio tendendo una corda nella quale il malcapitato di turno inciampava e veniva immediatamente sopraffatto (da qui nacque il detto “e che te cride ca’ vaco a mettere ‘a fune ‘a notte“, per dire: non vado mica a rubare).

Dopo un primo tentativo di far mettere delle lanterne ad olio sulle finestre, che venivano prontamente distrutte dai ladri, al domenicano venne l’idea vincente.

Il sentimento religioso nei napoletani, anche nei ladri e nei delinquenti, è sempre stato molto forte, allora Padre Rocco, ogni 5 o 6 case consegnò ai fedeli più devoti delle immagini sacre imponendo, ove necessario con il famoso bastone, di appenderle fuori delle case ed accendervi, per devozione, uno o più lumi ogni sera.

E così le lampade non furono più distrutte e nacquero le tante cappelle che troviamo agli angoli dei vicoli e che ancora oggi sono oggetto della venerazione popolare.

Napoli ebbe, in tal modo, la sua prima illuminazione e, dicono le cronache, divenne la città più illuminata d’Europa.

Gran parte delle edicole settecentesche non esistono più cancellate dagli interventi urbanisti del ‘900 tra cui i più distruttivi furono quelli che hanno interessato il Corso Umberto e l’area della Stazione Centrale.

La stazione di Napoli Centrale in una rara incisione di fine ‘800 (coll. A. Gamboni).

Comunque, anche se la loro collocazione primaria nasce come esigenza sociale, il culto che è nato intorno alle esse ancora oggi è vivo.

Le Edicole Votive sono testimonianze dello spirito della città, e andrebbero comunque salvaguardate e inserite in percorsi legati allo studio e la conoscenza della realtà cittadina.

Iconografia

Dal punto di vista architettonico e stilistico è possibile una classificazione per dimensione e tipologia (Coppola, Barbati). La varietà dei santi a cui sono dedicate è molto vasta, anche in funzione del problema cui il Santo è chiamato a porre rimedio.

Spesso nelle cappelle oltre all’effigie dedicatoria, ad ex voto e foto di persone per cui si chiede la grazia o per grazia ricevuta troviamo troviamo anche la foto di Diego Armando Maradona.

Sono caratteristiche le serie di lampioni bianchi sferici in vetro che sono sospesi nella parte alta delle Edicole Votive.

Alcune volte nel basamento o incassata nell’altare si può riscontrare una piccola nicchia dedicata alle Anime del Purgatorio. (vedi Proverbi e preghiere).

I materiali utilizzati per la realizzazione delle sembianze del santo possono essere di legno scolpito o sagomato, cartapesta, terracotta, lamina di ferro, vetro e le strutture architettoniche in marmo bianco o colorato, stucco, piperno.

Troviamo l’immagine sacra dipinta a olio su legno o su lamina di ferro oppure in affresco o su maiolica o su vetro oppure riprodotta a stampa su carta anche come fosse una vecchia oleografia.

Nelle edicole quasi sempre è presente una lapide con epigrafe che indica l’anno di costruzione, il nome del fondatore, il motivo della espressione del ringraziamento, il nome del curatore dell’opera, l’eventuale restauro, chi ha patrocinato il restauro e la data del restauro.

La varietà dei santi a cui sono dedicate è molto vasta, anche in funzione del problema cui il Santo è chiamato a porre rimedio.

Sono caratteristiche le serie di lampioni bianchi sferici in vetro che sono sospesi nella parte alta delle Edicole Votive.

Le anime del purgatorio:

Alcune volte nel basamento o incassata nell’altare si può riscontrare una piccola nicchia dedicata alle Anime del Purgatorio (le anime pezzentelle).

Queste scene rappresentano le anime che pregano avvolte dalle fiamme a braccia aperte invocando una preghiera (a Napoli è detta “O’ refrisco” cioè un sollievo) che le tolga dalle pene inflitte dal calore del fuoco che le avvolge.

Già verso la fine del ‘600 era molto radicata l’idea che le preghiere dei vivi potessero accelerare l’ascesa al Paradiso delle anime del purgatorio e queste anime potevano ricambiare con grazie e favori.
Napoli ha sempre avuto un forte legame tra vivi e defunti.

Per l’epidemia di peste che colpì Napoli nel 1656 la cave del rione Sanità furono adibite ad ossario comune ed ancora per le vittime del colera del 1836 si utilizzarono gli ossari delle chiese e le cave cittadine.

I morti venivano seppelliti in fretta e spesso non si conosceva neanche l’identità del defunto, così queste due grandi epidemie annullarono il rapporto diretto che le persone avevano con i propri morti distruggendo ogni possibilità del culto degli “Antenati”.
E così prese piede il culto delle anime pezzentelle diventando il culto dell’Antenato, del parente perduto poi riconosciuto (adottato), come defunto di famiglia.

Le anime adottate sono riconoscibili per i loro crani custoditi in bacheche di legno o di marmo.

Le persone che non sapevano dove fossero i propri cari si recavano in questi luoghi e adottavano un defunto dedicandogli al cura che avrebbero dedicato ai propri.

Le anime adottate si riconoscono perché i loro crani sono in bacheche di legno o di marmo.

“Facite bene all’aneme d’o’ Priatorio”

“Frische all’anema de’ muorti vuostri”, nel cimitero delle Fontanelle è un un impegno quasi quotidiano, infatti chi adotta il cranio di un’anima in pena non deve mai fargli mancare lumini, fiori e preghiere “Requiem Aeterna”.

http://www.cimiterofontanelle.com/it/

Ed è così che tra pagano e religioso, sacro e profano che si inserisce il Purgatorio napoletano.

Alcuni proverbi:

  • Chi tène sante, va ‘mparaviso
  • Gesù addò vede ‘a neve, spanne ‘o sole
  • Maronna mia, mantiene ll’acqua
  • Santa Lucia ve guarda ‘a vist’ ‘e ll’uòcchie
  • San Francisco Saverio, d’e guaie mieje tròvane arremmèrio

Alcune preghiere:

San Gennaro mio putente,
tu scioscia chesta cènnera
e sarva tanta gente
d’ ‘a morte ‘e lava ardente

Potentissima sant’Anna
cara mamma di Maria
‘int”a vita e morta mia
nun m`avit’abbandunà.

San Pasquale Bailonne
protettore delle donne
mannàteme nu marito
rubicondo e saporito
comme a vuje tale e quale
gloriosissimo San Pasquale.

Sia lodato san Gennaro
ca de Napule sì guardiano
col tuo sangue e la tua testa
liberaci ‘a ogne tempesta.

Aneme biate
a ‘stu munno site state
mpurgatorio ve truvate
‘o paravise v’aspettate
e pregate l’Eterno padre
per le mie necessità.Eterno riposo…

Je me cocco ‘int’a stu lietto
e a Madonna manco a ‘o pietto
e dormo e essa veglia
si è coccosa me risveglia
Gesù Cristo m’è pate
la Madonna m’è mamma
‘e sante me sò pariente
duorme … ca nun haje paura ‘e niente.

Bibliografia:


G. BENDINELLI, Edicola, in Enciclopedia Italiana, XIII, Roma 1954 ristampa;

A. DE FRANCISCIS, Ercolano e Stabia, Novara 1974.

A. COPPOLA, G. BARBATI, A’ Maronna t’accumpagna. Padre Rocco e le mille edicole votive di Napoli per grazia ricevuta, Editore Intra Moenia, marzo 2003.

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Anna Abbate
Archeologa, consulente informatica e web design freelance. Nata a Napoli, si occupa dal 1971 di Information Tecnology dopo essersi formata alla IBM come Analista Programmatore. Dopo una vita vissuta nel futuro ha conseguito la Laurea Magistrale in Archeologia presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa”. Divide il suo tempo tra la passione per l’informatica e la ricerca storica. Con alcuni amici archeologi ed antropologi ha fondato nel 2011 il “Gruppo Archeologico Kyme”, associazione di promozione sociale, della quale attualmente è presidente, organizzando giornate di valorizzazione e promozione del patrimonio storico-archeologico e delle tradizioni dedicate soprattutto alle scuole. Si occupa, in particolare di Napoli e del territorio flegreo. Ha pubblicato i libri "Da Apicio... a Scapece (Valtrend Editore, 2017), "Biancomangiare... il Medioevo in tavola" (Valtrend Editore, 2018).

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