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Dora e Vittorio, la storia di due napoletani che vivono nelle favelas brasiliane con i bambini di strada

Si conoscono da oltre cinquanta anni. Insieme si sono sempre impegnati nel sociale. Vittorio, ingegnere, è un ex dipendente del Formez di Pozzuoli, Dora un’ex impiegata. Poi l’incontro con le suore missionarie in America Latina e in Africa. Da qui nasce l’amore per il Brasile e le prime attività di solidarietà per finanziare progetti educativi. Poi arriva la pensione e la coppia decide di vivere definitivamente a Maceiò, una delle più povere e violente città del mondo.

La loro bella storia è di un’umanità senza confini. Un impegno totale che si lascia alle spalle le contraddizioni le ipocrisie occidentali. Dall’intervista emerge un’istantanea della vita in Brasile e le tantissime difficoltà dei bambini tra degrado e povertà inimmaginabili.

Dora e Vittorio portano avanti un loro progetto, “Crescer Juntos”, nella favela Vale do Reginaldo

L’intervista a Vittorio Caracciolo

Come nasce la vostra storia?

“Dora e io ci conosciamo da 50 anni. Non abbiamo figli e spesso ci siamo occupati del sociale, prima con l’associazione dei talassemici campani e poi con i ragazzi in difficoltà del Brasile. Ho lavorato al Formez e l’entusiasmo che mettevo nel lavoro ha lasciato via via posto alla delusione e alla ricerca di un qualcosa che desse un senso alla mia vita, avevo bisogno di ricaricare il mio entusiasmo e la voglia di fare, specialmente per i più bisognosi”.

Perché avete deciso di vivere in Brasile?

“Il Brasile è nato per caso. Abbiamo conosciuto le suore missionarie dell’Istituto delle Povere Figlie della Visitazione con sede nel quartiere napoletano di Barra. Le suore gestiscono missioni in Brasile, Ecuador, Togo e Benin. Le sorelle ci raccontavano dei loro progetti e la necessità di fare arrivare nelle missioni qualsiasi cosa potesse essere utile. Abbiamo scelto il Brasile. Siamo andati la prima volta nel 2004 a visitare le missioni e siamo stati accolti dagli abbracci dei bambini. Abbracci che poi ci sono poi rimasti addosso. Abbiamo visto tanti bambini senza famiglia, che faticano a sopravvivere ed erano quelli più esposti all’abuso, alla perdita dei diritti fondamentali. Solo stando lì, visitando le missioni, abbiamo capito cosa significava non avere possibilità e quanto poco facevamo per loro. Le suore ci raccontavano le storie raccapriccianti, storie di violenze domestiche, di padri e madri alcolizzati, drogati, assassini, di famiglie che si disgregano nel nulla. Quando ritornavamo in Italia l’unico pensiero era come fare per ritornare in Brasile e portare lì un po’ di soldi”.

In quale città vivete?

“Viviamo a Maceiò nello stato di Alagoas nel Nordest del Brasile. Maceiò ha un bel lungomare, ma è una delle città più violente e pericolose del mondo: 86 omicidi ogni centomila abitanti. Insomma, è come se a Pozzuoli ogni anno ci fossero 70 morti ammazzati”.

Con la vostra associazione di cosa vi occupate?

“Nel 2005 fondammo con gli amici napoletani l’associazione Uguali e Diversi onlus. È un’associazione laica, ha finalità rivolte esclusivamente alla solidarietà, realizza progetti per l’istruzione e la formazione professionale destinati a ragazzi appartenenti alle categorie più svantaggiate, promuove iniziative dirette alla cultura della pace, dell’uguaglianza ed alla valorizzazione della diversità. Io sono il presidente”.

Ora avete un progetto vostro, Crescer Juntos…

“Si, il progetto Crescer Juntos si attua nella favela Vale do Reginaldo. La favela è una ferita della terra, un luogo dimenticato, lasciato nel degrado e nella miseria dove gli abitanti vivono in condizioni igienico sanitare pessime, ai margini di una fogna a cielo aperto. La favela è spesso teatro di guerra tra delinquenti: una leggerezza può condannare a morte: nei primi 20 giorni di gennaio 2020 ci sono stati sei morti ammazzati. Sono tanti gli adolescenti morti o che vivono di illegalità e che, prima di diventare maggiorenni, hanno già la vita segnata. L’obiettivo del progetto è quello di costituire nella favela uno spazio di aggregazione protetto, un Centro di riferimento e di progettazione di ogni altra attività socio-educativa, di scolarizzazione, di formazione rivolte ai bambini, ai ragazzi e alle loro famiglie. Gli unici volontari siamo io e Dora. Viviamo della mia pensione. Solo chi ha un reddito, tempo, competenze e volontà può fare volontariato, il resto è lavoro subordinato e va retribuito. Abbiamo sei persone con un contratto di lavoro e paghiamo tutto quello che serve al progetto”.

Di cosa hanno bisogno i bambini?

“Il vero motore dello sviluppo umano è l’istruzione. La povertà economica è spesso causata dalla povertà educativa, le due si alimentano reciprocamente e si trasmettono di generazione in generazione. Riteniamo che l’istruzione e la formazione costituiscano il sistema migliore e più efficace per far emergere la personalità dei ragazzi, per far crescere in loro l’autostima e una nuova identità socioculturale e favorire il loro inserimento nel mondo del lavoro. Ma per fare ciò, bisogna provvedere prima alla loro sussistenza e quindi farli mangiare perché a stomaco vuoto non si apprende.  E poi farli giocare, realizzando tutta una serie di attività ludico-ricreative. Quello di cui abbiamo bisogno sono le risorse economiche per finanziare il nostro progetto”.

Cosa possiamo fare noi qui in Italia?

“Ormai abbiamo pochissimi benefattori. Anche le persone abbienti che prima ci aiutavano, oggi non lo fanno più, percepiscono la sicurezza, la crisi con preoccupazione anche se non sono toccati direttamente e hanno escluso, per prima cosa dalla loro economia, la solidarietà. Oggi l’unica risorsa su cui possiamo sono le beneficenze in denaro e il 5×1000 che non costa nulla al contribuente. Le quote che arrivano del 5×1000 devono essere rendicontate al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, non possono essere spese come si vuole, ma vanno destinate a progetti opportunamente documentati. Lo stesso facciamo per le donazioni in danaro che vengono tracciate attraverso bonifici bancari. Tutto ciò per tranquillizzare quelle persone un po’ diffidenti a volte anche a ragione”.

Ogni quando ritornate in Italia?

“Non lo sappiamo. Io non so più che fare a Pozzuoli. Oltre gli amici, la famiglia, la passeggiatina il pomeriggio sul lungomare, mi sento poi preso dalla saudade e dalla voglia di ritornare”.

Ecco come aiutare i bambini di Dora e Vittorio

L’Associazione Uguali e Diversi è stata costituita in memoria di Rino del Guerra. Ha sede in via S. Nullo 179 Country Park 80014 Licola – Napoli

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Ciro Biondi
Giornalista, scrive prevalentemente di attualità, sociale, cultura, turismo e ambiente. E' responsabile dell'Ufficio Comunicazione della Caritas Diocesana di Pozzuoli. Ha collaborato con quotidiani e periodici. E’ specializzato in comunicazione sociale e istituzionale. Si è occupato di uffici stampa ed è presidente dell'associazione di promozione sociale Dialogos. Con le scuole e le associazioni promuove incontri su legalità, volontariato, solidarietà tra i popoli, dialogo tra le religioni e storia. E' laureato in Lettere con una tesi in Storia Medievale. E' docente di scuola statale secondaria di secondo grado. Ha ottenuto vari riconoscimenti per l'attività giornalistica. Per il suo impegno sociale, culturale e professionale nel 2013 il Capo dello Stato lo ha insignito dell'onorificenza di cavaliere della Repubblica.
http://www.cirobiondi.it

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