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“Finchè amore non ci s(e)pari” – l’intervista all’autrice Adriana Di Colandrea

Bacoli. Mercoledì 16 maggio, presso la sede del Gruppo ANMI di Bacoli, ha avuto luogo la presentazione del libro “Finché amore non ci s(e)pari”, di Adriana Di Colandrea, edito da Nane edizioni.

Nel libro “Finché amore non ci s(e)pari” Adriana racconta la sua storia, una storia fatta di abusi, violenze e angherie che ha dovuto subire da parte del suo ex marito. Ma è anche la storia di una donna coraggiosa e forte, che non si è fatta sconfiggere dalle circostanze e ha saputo riappropriarsi della sua vita e della sua dignità. È la storia di un femminicidio mancato.

Adriana Di Colandrea, con il suo libro, coinvolge  il lettore in temi di bruciante attualità, quali il femminicidio e la violenza sulle donne, intendendo con quest’ultima non solo quella fisica, ma anche verbale, psicologica ed economica.

I casi di violenza contro la donna sono cronaca di ogni giorno, una drammatica realtà quotidiana. I numeri dicono tutto: secondo l’indagine Istat del 2015, in Italia il 31,5% delle donne di età compresa fra i 16 e i 70 anni ha subito forme più o meno gravi di violenza. Il 20,2% ha subito violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% ha subito le forme più gravi di violenza sessuale come lo stupro e il tentato stupro. Questi numeri sono spaventosi. Dobbiamo aprire gli occhi di fronte a queste realtà che coinvolgono donne vicino a noi, spesso più vicine di quanto immaginiamo. La cosa grave è che nella maggior parte dei casi, chi opera violenza contro le donne sono i coniugi, i compagni, i parenti delle stesse persone che avrebbero dovuto amarle, ma soprattutto rispettarle.

Alla presentazione del suo libro, molte donne hanno mostrato il proprio sostegno ad Adriana per aver avuto il coraggio di essere forte per sé e per suo figlio. Raccontando la sua storia è riuscita ad aiutare tante altre donne, dando loro il coraggio di riprendere in mano la loro vita e la loro dignità.

In quest’occasione ho avuto modo di incontrare Adriana Di Colandrea, che ha risposto con gentilezza alle mie domande.

Signora Di Colandrea, perché ha deciso di scrivere questo libro?

“Ho scritto questo libro perché, avendo subito umiliazioni, angherie e abusi di ogni genere, sentivo la necessità di parlare alle altre donne. Anche quando vivevo io quelle situazioni, avevo la necessità di sentire trasmissioni, qualsiasi cosa parlasse dell’argomento, perché  mi davano la forza per farmi comprendere che non era giusto ciò che stavo subendo. E questo è il messaggio che io voglio mandare alle altre donne. L’obiettivo è che la storia venga conosciuta e soprattutto che se dalla lettura del libro anche una sola donna riuscirà a liberarsi da una situazione di violenza, allora l’obiettivo è stato raggiunto”.

Lei ha avuto il coraggio di raccontare la sua storia, cosa che molte donne non riescono a fare. Quanto è stato duro e complicato per lei riuscire a mettere tutto nero su bianco?

“È stato molto difficile. Non è facile esprimere ciò che si è passato, specialmente quando sono cose dolorose, cose di cui ti vergogni, cose oscene. Non è stato per niente facile, ma l’ho fatto per le altre donne come me, ma anche per me stessa, perché parlarne aiuta a liberarsi”.

Spesso le donne non si accorgono che stanno subendo situazioni di violenza, non se ne rendono conto.

“Si, spesso è ciò che accade. Anche io, ad esempio, minimizzavo sempre quello che mi accadeva, anzi mi sono costruita un’autodifesa dove ogni episodio era sempre un episodio nuovo. Io non accumulavo tutte le cose, e ogni volta era sempre come se fosse successo per la prima volta.  Solo quando si arriva a fare una carrellata di tutto quello che è successo si attribuisce un certo peso alle varie vicende. Anche perché non si vuole ammettere la sconfitta, quindi si tende sempre a minimizzare. Magari perché non si è ancora giunti all’idea di lasciarlo completamente, sono tutte giustificazioni”.

Qual è stato il momento più difficile?

“Di momenti difficili ce ne sono stati tanti, ma sicuramente il più difficile è stato quello di aver preso la decisione di lasciare il mio ex marito, quindi affrontare la situazione con un bambino piccolo, senza un lavoro, senza una casa, senza niente. Anche denunciare il mio ex marito è stato difficile, perché è comunque il padre di mio figlio”.

Qual è stato il momento in cui lei ha detto “basta, ci do’ un taglio”?

“Tutto è passato attraverso un percorso psicologico. Ho avuto una prima idea di lasciarlo, però da quando si pensa la cosa a quando si matura la decisione e poi lo si fa sul serio, passano anni, la maggior parte delle volte”.

Lei nel libro scrive che in qualche modo ritiene responsabile anche un po’ la cultura paesana di Bacoli e antichi retaggi familiari. Crede che in un contesto diverso la sua storia sarebbe stata diversa?

“Si, credo che la società e la cultura, quello che ti inculcano sin da bambino compromettono le tue scelte future”.

Cultura che lei è stata in grado di ribaltare. Si è dimostrata molto più coraggiosa e forte, forse più di quanto lei stessa si aspettasse.

“Si, io lotto per le cose in cui credo. Sono andata contro corrente”.

Immagino che il lungo percorso dalla denuncia fino alla sentenza finale non sia stato facile da affrontare. Con quale stato d’animo è riuscita ad affrontare tutto questo?

“Con molta pazienza. I processi sono lunghi e i tempi sono quello che sono. È logorante. Ma ho avuto anche paura”.

È riuscita ad esorcizzare ciò che le è successo?

“Si, io ho iniziato un percorso psicologico, dove la mia psicologa mi disse che sarebbe stato come entrare in un tunnel in cui si incontra il buio più nero , fin poi, pian piano si arriva alla luce, alla liberazione. C’è un peso allo stomaco che ci si porta dietro, finché non si è del tutto liberi. È solo parlando che si riesce a liberarsi di questo perso. Io, quando ne parlavo piangevo sempre e continuamente. Poi però si arriva alla consapevolezza di ciò che si è passato e questo porta rendersi conto che si è fatto la cosa giusta e finalmente puoi liberarti di quel peso”.

Come si sente dopo aver vissuto questo incubo? Com’è cambiata la sua vita adesso?

“Io mi sento una donna nuova. Subito dopo la separazione ho deciso di rimettere la mia vita a posto, nel senso che ho deciso di fare tutto quello che non avrei mai pensato di fare con lui, dalla cosa più banale a quella più importante. Ci sono cose che ho fatto unicamente per me stessa. Io ora sono una donna diversa, prima ero timida, ero impaurita, avevo paura di parlare in pubblico, ma ora sono più forte. Ho capito che è come stare nella giungla, se non impari a correre vieni sbranata dal leone”.

Lei ha dedicato il libro a suo figlio Vittorio, che le ha “salvato la vita”. Come l’ha aiutata nella sua coraggiosa scelta?

“Mi ha chiesto lui di andare via di casa e io per amor suo l’ho fatto. Lui ora è un adulto, sa quello che ha fatto il padre, ha testimoniato contro il padre in un incidente probatorio già da piccolino, quindi non ha fatto altro che confermare le mie dichiarazioni. Naturalmente un bambino non è in grado di mentire per cui io sono stata ritenuta dal giudice completamente affidabile nella mia storia perché i fatti da me esposti corrispondono con le testimonianze e con le prove acquisite”.

Lei è stata in grado di aiutare molte donne con il suo libro e con l’aver raccontato la sua storia.

“Ho aiutato più di qualche donna. Dopo che la mia storia è diventata pubblica parecchie donne mi hanno contattato e io sto cercando di indirizzarle su come fare per come affrontare la situazione, che è un po’ l’obiettivo anche del mio libro. E sono riuscita nel mio intento. Anche il fatto di esser stata il volto di una iniziativa messa in campo nel 2016 dall’amministrazione Freebacoli con l’istituzione di uno sportello anti-violenza, “La Ginestra”, in collaborazione con vari professionisti del settore tra psicologi e psicoterapeuti, è stato determinante nell’aiuto ad altre donne”.

A quelle donne che non sono state ancora in grado di essere coraggiose tanto quanto lei, cosa vorrebbe dire?

“Io vorrei dire che devono pensare che se fanno la scelta di denunciare la persona che abusa di loro, lo fanno per i propri figli. I figli soffrono di queste situazioni, quindi è meglio essere separati che far vivere ai figli quelle esperienze. Io dico sempre di affidarsi a persone competenti che possono aiutarle, come psicologi, centri ascolto o i centri antiviolenza, che è sempre la cosa migliore”.

Dopo tutto quello che ha passato, si sente in grado di credere di nuovo nell’amore?

“Assolutamente si! Ora ho un compagno con cui sto bene e soprattutto che mi rispetta”.

 

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Ilaria D'Alessandro
Laureata in Scienze della Comunicazione, sta facendo del giornalismo la sua professione e svolge attività di consulenza per la comunicazione. Le sue passioni sono i libri, gli spettacoli teatrali, il cinema e la musica.

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