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‘O Cuorpo ‘e Napule: storia di una divinità che viene da lontano

“Napule è mille culur” cantava il grande Pino Daniele, mille sfaccettature, mille storie.  È noto che Napoli sia stata oggetto di contesa di tanti popoli e crocevia di diverse nazionalità. Tuttavia pochi sono a conoscenza del fatto che le fonti antiche attestano la presenza di una comunità di mercanti e marinai proveniente da Alessandria D’Egitto.

“Il Corpo di Napoli”, nome attribuito alla statua del Nilo, nell’omonima Piazzetta nel centro Storico di Napoli, è segno indiscusso della continuità tra passato remoto e presente storico. Le fonti letterarie attestano che a Neapolis, fin dalla prima età imperiale, si fosse stabilita la comunità di Alessandrini. Questi abitanti furono assidui frequentatori dei teatri e costituirono una claque di eccezione per le esibizioni di Nerone. Nel loro quartiere , la Regio Nilensis, fecero erigere un gruppo marmoreo raffigurante il dio Nilo, nell’ambito delle iniziative religiose connesse ai loro culti di origine ( Iside, Apollo-Horus, ecc).

Nonostante l’incuria e le innumerevoli  mutilazioni subite nei secoli, contro ogni aspettativa, la statua ha superato i 1800 anni di vita. Il monumento che è una copia di età romana del II secolo d.C., ripropone un modello caro alla statuaria ellenistica, con un vecchio barbuto disteso alla maniera degli dei d’oltretomba al banchetto funebre, tra bimbi in festa, simbolo di fertilità , un coccodrillo ai piedi e una sfinge di lato, entrambi acefali. Evidentemente le teste del monumento non hanno avuto mai pace. Decapitata in età imperiale, la statua del vecchio Nilo fu ritenuta in età medievale “una immagine de una donna bellissima che nutriva cinque fantolini soi figlioli”, secondo l’autore della “Cronaca di Partenope”. Scomparsa o quanto meno dimenticata per lungo tempo, ricomparve alla fine del ‘400 in seguito a lavori di sistemazione di un’area per la costruzione del nuovo Seggio del Nilo.

Restaurata e completata con una nuova testa, quella che oggi ammiriamo, la statua del 1667 fu sistemata su un basamento che porta un’epigrafe in lingua latina dell’erudito Matteo Egizio, collocata dopo il restauro del 1734, nel primo anno del regno di Carlo di Borbone.

Dall’alto del suo piedistallo questo vecchio ha inciso in ogni sua parte un remoto passato che riecheggia a gran voce nel nostro presente.

 

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Martina Bruna Chiaiese
Nata a Napoli nel 1994. Fin da bambina è sensibile al mondo della cultura e della scrittura. Ha frequentato il Liceo Classico Antonio Genovesi grazie al quale matura un grande interesse per la lingua e la letteratura italiana e inglese. Si iscrive all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale e nel 2017 consegue la laurea in Lingue, Lettere e Culture Comparate nelle lingue inglese e cinese. Attualmente frequenta il corso di Laurea Magistrale in Lingue e Civiltà Orientali approfondendo lo studio della lingua, la storia, l’archeologia e la letteratura cinese. In ambito giornalistico si occupa della coordinazione del quotidiano on-line L’Osservatorio Flegreo ed è direttore della testata QuiCampiFlegrei. La sua passione è lo sport.

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